I giovani italiani sono sempre più disillusi rispetto alla possibilità di trovare lavoro in Italia e sempre più propensi a fare le valigie per varcare i confini. È quanto emerge da un’analisi Coldiretti/Ixè in occasione della presentazione del report Istat su “Migrazioni internazionali e interne della popolazione residente” dal quale si evidenzia nel 2013 il record degli italiani in fuga dal proprio Paese. La sfiducia nel futuro è forte, incentivata dal perdurare della crisi economica e dalla carenza di efficacia delle politiche che si sono susseguite. C’è chi punta il dito sulle tasse, chi chiama in causa la mancanza di lavoro e chi considera il Paese fermo, in bilico su un sistema politico che non è in grado di prendere decisioni. Oltre il 70% dei giovani non crede, infatti, che l’Italia tornerà a crescere nei prossimi anni. Ci si trova così davanti agli occhi un quadro complesso di giovani che alla soglia dei trent’anni si ritrovano con la sensazione frustrante “di non aver ancora combinato nulla”.
Un meccanismo che non va più giù a chi è abbastanza ambizioso da volere di più e il Paese acquisisce così sempre di più le sembianze di uno spettro, popolato da anziani e turisti. Rimane chi si adatta alla situazione critica, disposto a svolgere qualsiasi attività pur di sopravvivere e chi, baciato dalla fortuna o dalle “conoscenze” riesce a realizzare i propri sogni. Chi parte è chi non accetta il meccanismo tutto italiano di far andare le cose. E non è una casualità che questo meccanismo perverso venga associato proprio all’Italia, dove non c’è competizione meritocratica, dove si viene sempre superati da persone incapaci ma che hanno le “conoscenze” adatte, dove le passioni non vengono incentivate ma bloccate sul nascere. Parte chi non si accontenta, chi è abbastanza ambizioso e coraggioso da smettere di combattere contro i mulini a vento di un sistema corrotto e perverso. E ci vuole coraggio a lasciare tutto e partire con le proprie speranze racchiuse in una valigia. Ma che cosa cercano i ragazzi in fuga dall’Italia? Meritocrazia e senso civico, senza ombra di dubbio. Fuori c’è la possibilità di trovare rispetto e solidarietà sociale, nonché uno Stato che collabori alla crescita, all’educazione e all’inserimento dei giovani nel mondo del lavoro.
All’estero però non è tutto più facile. Ci si ritrova soli e bisogna acquisire la consapevolezza di non avere più il nucleo familiare che possa svolgere la funzione di cuscinetti ammortizzatori ogni volta che si cade. La competizione è molto più alta e il cammino da fare ancora più duro. Bisogna prepararsi, conoscere la lingua e abbandonare la visione italiana delle cose, entrando nell’ottica di un sistema che funziona, dove non vale più la logica “dell’amico dell’amico”. Luca Vullo, regista italiano stabilito a Londra, ha visto una folla di giovani laureati e professionisti riversarsi in massa nella capitale inglese. Insieme a una squadra di tecnici e aiutanti tutti italiani ha girato un documentario, Influx, per raccontare “l’universo psicologico e antropologico” che va prendendo forma a Londra, una città bersagliata, dice lui, da giovani di tutto il mondo. Ad agosto, si stimava infatti che gli italiani emigrati nel Regno Unito fossero 500.000. Mezzo milione.
Al centro dell’analisi sociale eseguita dal regista vi è proprio il problema dei giovani che fuggono Oltremanica, con l’illusione che l’Inghilterra sia el dorado, la terra promessa, in grado di offrire tutte quelle opportunità che l’Italia non dà. Impreparati, rischiano però di finire schiacciati dal sistema. Secondo Luca “è una grande fuga di massa, più che fuga di cervelli“. Nonostante ci sia anche chi è riuscito ovviamente a distinguersi e ad affermare il proprio talento, la maggior parte arriva senza sapere cosa fare, senza obiettivi precisi e la benché minima conoscenza di come vadano le cose nel paese straniero.
Lontano da casa si cade e ci si rialza da soli, perché la giusta dose di ambizione e perseveranza non può che spingere nella giusta direzione. All’estero, non qui. Perché fuori dai confini succede una cosa che il sistema italiano impedisce: l’idea che se si lavora bene e si hanno le capacità, prima o poi l’obiettivo si raggiunge. Qui invece i sogni diventano quasi un impedimento, macigni che rendono i cassetti sempre più pesanti. Sogni abbandonati negli angoli più lontani della nostra casa interiore, con la speranza che qualcosa possa ancora cambiare. Ma se il mondo esterno non ha intenzione di muoversi, è compito nostro farlo, in qualsiasi modo e con qualsiasi mezzo possibile. Sì perché spesso non basta il talento, la capacità e la passione se non si agisce concretamente per coltivarle, metterle in moto, creando da soli situazioni e occasioni e sfruttando a pieno tutte le opportunità che si presentano all’orizzonte.
In Italia persiste ancora, in una consistente fascia di persone, una strana e poco realistica concezione: l’idea che se si ha talento, prima o poi qualcosa succede; che qualcuno ti prende per mano e ti indica la strada da percorrere. Illusioni che non hanno nessun fondo di verità, nonostante sognare sia lecito e i sogni rappresentino un primo piccolo passo per lo slancio personale e professionale. Ma i sogni possono rimanere così sospesi oppure possono essere trasformati in realtà contando sulle proprie forze e agendo, in Italia, come all’estero.