Con il suo sax ha dato voce ad una storica contaminazione, quella tra il jazz d’oltreoceano e la tradizione storica napoletana. Lui è James Senese, sassofonista e fondatore negli anni ’70 di un movimento che ha rivoluzionato lo scenario musicale, il neapolitan power. Un rythm&blues all’italiana che portava nuove sonorità, innovandole e rinnovandole. Non senza una buona dose di emozioni.
Storico leader dei Napoli Centrale, James Senese ha inventato uno suo personale linguaggio che ancora oggi riesce ad incantare il suo pubblico, in giro per il mondo.
Noi de Il giornale digitale l’abbiamo incontrato a Napoli, in occasione dell’evento Il linguaggio universale della comicità: 20 anni senza Massimo che ha omaggiato con ricordi e musica il ventennale della scomparsa di Massimo Troisi.
James Senese e il sax, un binomio iniziato negli anni ’60: com’è nata questa passione? Perché proprio il sax?
È stata una scelta naturale, ho sentito il suono del sax è mi ha affascinato da subito. Mi piace un certo tipo di musica e in quelle sonorità ho ritrovato me stesso, le radici napoletane che sono molto forti insieme alla mie origini americane.
Lei ha dichiarato “Io sono nato nero e sono nato a Miano, io suono il sax tenore e soprano, lo suono a metà strada tra Napoli e il Bronx” cos’hanno in comune queste due realtà?
Sono realtà simili, il nostro sud ricorda il Bronx americano. Io sono americano e napoletano e questo mi dà l’opportunità di capire delle sensazioni diverse. La nostra cultura è fatta di sentimenti forti e in questo Napoli e il Bronx sono molto vicine.
Ha lavorato con Massimo Troisi, che ricordo ne ha?
Un sera, circa due anni prima che morisse Massimo, suonavo alla Bussola di Viareggio e alla fine del concerto mi venne e a prendere un autista dicendo “ti devo portare in un posto”. Era un ristorante dove ad attendermi c’era Massimo Troisi. Vidi un enorme tavolo imbandito con ben trenta aragoste. Massimo mi disse: Sono queste le cose che devi mangiare.
Lo so è un ricordo particolare, ma mi ha colpito perché ci eravamo incontrati poche volte e nonostante ciò fu molto ospitale ed accogliente. Lui era innamorato di Napoli Centrale e della nostra musica.
I Napoli Centrale, il suo storico gruppo, hanno rivoluzionato il panorama della musica jazz negli anni settanta. Intravede degli “eredi” del suo modo di fare musica? E tra i tanti, quale brano la rappresenta di più?
Napoli centrale è ancora viva, per cui forse è presto per parlare di eredi. Ci sono comunque bravi musicisti, ma sono lontani dalla rivoluzione che all’epoca abbiamo fatto noi. Tutti i brani di Napoli centrale sono importanti, ma Mala sorte è il pezzo che rispecchia ciò che siamo.
Pino Daniele, Raiz, Tullio De Piscopo, Rino Zurzolo, Enzo Gragnaniello, Joe Amoroso, Tony Esposito: insieme avete raccontato la vostra storia musicale e continuate a farlo, cosa avete ancora in comune a distanza di 30 anni? Cosa vi lega?
Siamo uniti da sentimenti passati e presenti. Con Pino c’è un unione molto particolare, quando ci siamo incontrati i primi anni ‘70 sapevamo che il nostro rapporto sarebbe durato per tutta la vita. Grazie a Napoli centrale è diventato Pino Daniele.
Suonare, fare sempre qualcosa di nuovo per poi metterlo fuori e cercare di farlo ascoltare. Io sono sempre in tour sia come Napoli Centrale sia per duetti con altri artisti.
A proposito di duetti: ha suonato con tanti musicisti, da Daniele Silvestri agli Almamegretta, quale l’indimenticabile?
Indubbiamente i duetti con Pino Daniele, lui suona la chitarra e io il sassofono ma siamo molto simili, è quella la musica che mi appartiene. Abbiamo in programma una data a settembre all’Arena di Verona poi partiremo per gli Stati Uniti.
[Credit Photo Cover: Andrea Savoia]