Giovedì 4 dicembre: inizia il Journey di Coca Cola Italia. Anche se Journey, il viaggio, è di fatto iniziato più di 50 anni fa, nel dopoguerra, con quelle storie italiane che spesso e volentieri, soprattutto nei momenti di piacere, sono state accompagnate da una Coca Cola. A soli due anni dal lancio americano, Coca Cola Italia compie un passo verso l’evoluzione della comunicazione aziendale trasformandola in una storia da raccontare. Lo storytelling è la nuova cifra della comunicazione. Il racconto del brand, di come lo vivono i consumatori, la condivisione delle infinite storie, tante italiane, che nascono intorno ad un marchio globale eppure vicino a milioni di persone e con profonde radici anche nel nostro Paese. Il sito Journey, in Italia, non sarà una semplice traduzione della versione americana, piuttosto una declinazione che ne fa emergere il lato italiano: dal lavoro degli imbottigliatori e dei distributori, al collezionista di lattine entrato nel Guinness dei primati, alle arance italiane, ingrediente fondamentale di Fanta, fino alla celebre campagna natalizia degli anni Settanta “Vorrei cantare insieme a voi” che in realtà, nella versione originale dice “I’d like to share a Coke“, chiaro rimando ad un senso di condivisione pre social network. Insomma, Journey, da oggi, parla italiano, e lo fa meglio di quanto si creda. Da amante dello storytelling sono andato a cercare Vittorio Cino, Direttore Comunicazione e Relazioni Istituzionali di Coca Cola Italia per farmi spiegare, o meglio raccontare, questo viaggio:
Buongiorno Dottor Cino, da dove nasce la necessità di avere Journey anche in Italia?
Nasce dalla natura stessa di Journey, dal concept che sta dietro di esso. Journey è nato negli Stati Uniti come evoluzione del sito corporate, dall’esigenza di sviluppare il grande patrimonio di storytelling di cui da sempre è depositario Coca Cola. La comunicazione di Coca Cola, infatti, si è sempre basata sullo storytelling, un espediente comunicativo che si basa su un concetto vecchio come il mondo: la necessità di comunicare attraverso un racconto, una narrazione. Sin dal primo momento Journey è stato pensato e progettato come uno strumento in grado di evolversi e di avere una serie di declinazioni locali, almeno nei paesi principali in cui è presente Coca Cola. In Europa Journey è già approdato in Germania e in Spagna: adesso è il momento dell’Italia.
La cultura italiana in cosa si differenzia, a suo parere, da quella americana nel racconto?
La cultura italiana ha un forte radicamento nel passato: la tradizione ha un peso molto forte. In Italia ogni comunicazione deve affondare le proprie radici in una tradizione, in un narrato, in un vissuto. Negli Stati Uniti, in linea generale, c’è la tendenza inversa a proiettarsi in avanti. Si tratta, infatti, di una terra e di un popolo dal passato recente e non ricco come il nostro. In Italia la narrazione ha bisogno del vissuto, soprattutto quando si parla di cibo e alimentazione, riguardo a queste tematiche il nostro paese ha una sensibilità che non solo negli Stati Uniti, ma in generale nel resto del mondo, è molto minore.
Il Corporate Storytelling: tante aziende ne parlano, poche lo fanno. Pensa sia una moda o un’esigenza comunicativa?
No, non credo sia una moda, soprattutto per quanto riguarda il nostro Brand. Lo storytelling, infatti, è una modalità di comunicazione che ha sempre contraddistinto il nostro approccio nei confronti dei consumatori e degli stakeholder. Sono convinto che lo storytelling non sia solo una moda dei nostri giorni, ma esprima una vera e propria necessità per le aziende. Oggi il Web, il Digital, i Social, hanno ampliato a dismisura lo spazio comunicativo a disposizione dei soggetti. Questo spazio comunicativo richiede di essere riempito. Nella realtà, infatti, non esistono spazi vuoti. Se le aziende non riempiranno questo spazio con la propria storia, sarà qualcun altro a farlo. Quando si parla di comunicazione aziendale, dunque, lo storytelling non può rappresentare una moda ma una vera e propria necessità.
Avete già scelto la squadra di Storyteller, e in base a quali caratteristiche?
Certo. Il team che si occuperà di Journey sarà composto da free lance, professionisti della comunicazione e del giornalismo e consulenti specializzati sullo storytelling. La nostra ambizione futura è allargare questo nucleo iniziale, ospitando storie e contributi di opinion leader ed esperti su tematiche che richiamino sia direttamente che indirettamente il mondo di riferimento di Coca Cola. Quindi, di fatto, si tratta di un cantiere aperto, anche se con un progetto ben chiaro.
Vi avvarrete di contributors interni o andrete a cercare le storie in giro per l’Italia?
Faremo entrambe le cose. Partiremo dalle storie che in questo momento Coca Cola sta esprimendo e raccontando giorno dopo giorno, storie che l’anno prossimo riguarderanno soprattutto le tematiche dell’Expo 2015. Allo stesso tempo da parte nostra ci sarà disponibilità, curiosità, voglia e incoraggiamento a richiedere, raccogliere e raccontare le storie di tutte le persone che vorranno visitare Journey e dare il loro contributo. Il nostro obiettivo è creare dibattito, dare vita ad una piattaforma dove si possa dialogare. Come ho appena detto, partiremo con una serie di argomenti specifici, ma col tempo cercheremo di ripercorrere l’esperienza di Journey negli Stati Uniti e di trattare tematiche più ampie. Giusto per fare un esempio potrei citare il tema dell’innovazione e quello della sostenibilità.
Informare, ispirare e provocare, sarà questo l’obiettivo del journey italiano di Coca Cola?
Assolutamente si. Questo messaggio è in linea con la comunicazione Coca Cola. Ma non sarà solo questo. Un ruolo importante sarà giocato dall’emozionalità. Il nostro, infatti, è un brand emozionale. Il suo successo si basa sulla brand love. Sia le nostre storie, sia quelle che raccoglieremo avranno come elemento in comune la capacità di suscitare emozioni. Tuttavia non trascureremo argomentazioni fattuali, vale a dire vere e propri notizie che metteremo online.
Parliamo della partnership con Expo 2015.
Come prima cosa bisogna sottolineare come la nostra presenza ad Expo 2015 sarà puramente istituzionale. Non ci saranno finalità commerciali: saremo lì per contribuire al dibattito sulle tematiche di Expo, ovvero nutrition and sustainability. Il nostro padiglione sarà molto diverso da quello di 5 anni fa a Shangai. All’epoca eravamo lì con fini prettamente commerciali. Volevamo crescere nel mercato cinese, un mercato in forte espansione che vedeva Coca Cola come azienda di riferimento. Ad Expo 2015 saremo tra le pochissime aziende del food and beverage ad avere un padiglione corporate autonomo e distinto. Ribadiremo questo concetto, Coca Cola è un’azienda globale ma con i piedi ben piantati nei paesi in cui opera. Vogliamo affrontare tematiche più sensibili come quella dell’alimentazione sana, dell’equilibrio energetico e della sostenibilità. Tutte tematiche che hanno a che fare con impegno e responsabilità sociale. Sarà possibile verificare la nostra sensibilità e i nostri sforzi verso queste tematiche in alcuni progetti specifici e concreti che stiamo sviluppando sia in italia che all’estero.
L’italia è uno dei Paesi al mondo con la più alta brand love per il marchio. Secondo lei da cosa dipende questo successo?
Dipende dal fatto che in Italia il nostro prodotto è consumato durante momenti di piacere e divertimento. Una pizza in compagnia il sabato sera, una partita con gli amici, una festa per festeggiare un evento speciale, un falò in spiaggia, Natale, Pasqua, sono tutte occasioni che sprigionano una carica emozionale positiva che si attacca al brand. Coca Cola assorbe questa carica positiva. In termine di consumi pro capite l’italia non è certo tra i primi posti in Europa. Siamo uno dei paesi in cui si bevono meno bevande gassate e questo ovviamente coinvolge anche Coca Cola. Questo ci fa capire una volta di più quanto il nostro brand love non sia legato al consumo di bevanda ma alla percezione emozionale del brand.
Si può dire che la crisi abbia anche ridotto i momenti di piacere o solo una mia percezione?
Si, ma solo da un certo punto vista. Bisogna considerare anche il fattore nostalgia. A causa della crisi avvertiamo la mancanza di momenti di piacere e la mancanza gioca a favore del brand love. Proprio per questa ragione nelle campagne di questi anni, a partire dalla famose share a coke, sono protagonisti la condivisione e la personalizzazione. Si vuole accendere una miccia di emozionalità non con il consumo individuale ma attraverso la condivisione con l’altro. Questo elemento di socialità è da sempre uno dei motivi fondanti della comunicazione di Coca Cola.
A poche ore dal lancio cosa vi aspettate da questo journey? Vi sentite, come direbbero gli americani, thrilled?
Per noi è un evento molto importate. Sbarchiamo in Italia in un momento storico per il nostro brand e per il suo rapporto con questo paese. Coca Cola è tra i brand più famosi al mondo, se non il più famoso. Ciò comporta una serie di aspettative nei nostri confronti. La nostra più grande scommessa è proprio questa: riuscire ad essere in linea e all’altezza delle aspettative che uno strumento come Journey genera inevitabilmente. Sì, siamo… thrilled (non vediamo l’ora)!
In bocca a lupo allora!
Direi buon viaggio, suona meglio!
Che Journey abbia inizio, allora.
Credits Foto e Cover: gentilmente concesse da Coca Cola Italia