Cultura, talenti e competenze: “HR…Let’s make it digital” è un format proprietario di Balance & Partners incentrato su alcuni punti cruciali per la scelta delle risorse del futuro, forse già del presente: la digitalizzazione, lo smart work e la valorizzazione delle proprie competenze, nonché del talento negoziale di ognuno. In poche parole, ci si avvia verso un mercato in cui la forbice tra domanda e offerta di persone specializzate si allarga sempre di più. Da una parte le imprese che cercano persone preparate e digitalizzate, dall’altra i professionisti che tendono a scartare l’idea di lavorare in contesti non stimolanti. Ne abbiamo parlato con Alessia Di Giacomo, Co-Founder e Director di Balance & Partners che si occupa di supportare aziende internazionali leader di mercato nella gestione di grandi trasformazioni aziendali con uno specifico focus sul mondo HR ed Organizzazione. Il mantra è che “La rivoluzione digitale riguarda le persone, non (soltanto) le tecnologie. Riguarda l’intelligenza emotiva, non (soltanto) quella artificiale”. E siccome il primo passo del percorso verso l’innovazione comincia sempre con una domanda, una domanda giusta, ecco le nostre domande ad Alessia.
Ciao Alessia, in questo momento storico sono più digitali i recruiter o i candidati?
La Rivoluzione Digitale, come tutte le rivoluzioni, trova il suo motore propulsivo nelle masse che spingono dal basso richiedendo cambiamenti di paradigma radicali. Nel mondo del lavoro, di cui il recruiting è uno dei processi chiave, si può dire sia accaduto esattamente lo stesso. I candidati hanno cominciato ad essere sempre più digitali, vivendo in digitale e ragionando in digitale, ed i recruiters si sono adeguati. Alcuni in qualità di precursori del fenomeno digitale nel loro ambito (come Linkedin ed altri social media network), altri come follower. Ma di certo tutti si sono attrezzati, e chi non si è attrezzato è fuori da questo mercato.
Esistono ancora posizioni nelle quali, a vostro parere, è meglio non essere digital?
Direi proprio di no! “Essere Digital” significa essere in grado di utilizzare canali o strumenti digitali per raggiungere in modo più efficiente finalità specifiche, nulla di diverso da questo. Equivale a saper parlare una lingua globale senza conoscere la quale si perdono ottime opportunità di arrivare efficacemente dovunque si vuole, vicino o lontano che sia. E così come non esiste una “strategia digitale” per le aziende, perché il digitale altro non è che una modalità per rendere più efficace la propria strategia di business (che continua a basarsi su leve di prodotto, mercato, posizionamento, etc.), allo stesso modo non esiste una posizione in azienda nella quale sia meglio non essere digital, perché esserlo significa ottimizzare la propria performance qualunque posizione si ricopra.
A che punto siamo in Italia con lo smart working? È vero che l’evoluzione è il mobile working? E quando diventerà realtà?
La strada da percorrere è ancora lunga. In Italia siamo spesso abili nell’innovazione ma lenti nell’assorbirla per poi metterla a terra, e questo è uno dei tipici casi in cui siamo rimasti fanalino di coda. Alcuni passi sono stati fatti ed è stato da poco presentato un disegno di legge in merito, ma siamo ancora indietro rispetto a paesi più digitali in cui integrare l’innovazione nella pratica del tessuto industriale risulta più agevole sia da un punto di vista culturale che normativo.

Gli ostacoli reali, infatti, sono primariamente culturali e la diretta conseguenza di questi sono l’estrema rigidità del mercato del lavoro, la burocrazia massiva ed i relativi costi, i tradizionali approcci gerarchici, i contratti di norma collegati al tempo piuttosto che al risultato e molto altro. Lo smart working ed il mobile working, sua naturale evoluzione, diventeranno realtà in Italia solo a valle di una profonda trasformazione culturale, che credo società come Balance & Partners abbiano il compito di contribuire a diffondere ed abilitare.
Google Airbnb, Tesla, Kaggle, Quirky: cosa hanno in comune queste imprese?
Hanno in comune il massimo grado di utilizzo delle leve tecnologiche attualmente disponibili: crowdsourcing, communities, big data, mobility. Le società con queste caratteristiche sono definite “Organizzazioni Esponenziali”: il cui impatto di mercato è sproporzionatamente grande rispetto ai competitor grazie all’utilizzo di tecniche organizzative che fanno leva su tecnologie esponenziali, appunto. Cosa rende esponenziali queste organizzazioni nel dettaglio? Google è nata con la convinzione secondo cui un motore di ricerca basato sullo sfruttamento delle relazioni esistenti tra siti web avrebbe prodotto risultati migliori rispetto alle tecniche empiriche usate precedentemente; da questa semplice base si è sviluppato il motore di ricerca più potente del mondo a cui hanno fatto seguito altre innovazioni eccezionali: PageRank, Adwords, Google+, Google Fiber e Android, i Google Glass o le auto a guida autonoma.
Airbnb è una community presente in 34.000 città e 190 paesi con 800.000 appartamenti e si attesta come il più grande fornitore di alloggi del mondo non possedendo neanche una struttura ricettiva: tutto il suo business è basato sul web network tra proprietari privati e consumatori finali.
Tesla è stata la prima azienda automotive al mondo ad applicare la filosofia Open Source ai suoi brevetti rendendoli utilizzabili da chiunque, compresi i suoi competitors, al fine di spingere più soggetti possibile a proporre miglioramenti ed innovazioni trovando così nuovi partner per lo sviluppo tecnologico; probabilmente uno dei risultati è che le auto Tesla si aggiornano da sole ogni settimana, con un semplice download.

Kaggle è una piattaforma totalmente basata sul crowdsourcing che crea vere e proprie competizioni tra data scientists di tutto il mondo affinché generino modelli predittivi basati su dati statistici messi a disposizione liberamente dalle aziende; finora i data scientist esterni hanno sempre battuto gli algoritmi usati storicamente dalle aziende che hanno richiesto il servizio.
Quirky è una piattaforma che connette gli inventori con le società specializzate in specifiche categorie di prodotto e basandosi unicamente su web network e crowdsourcing ad oggi gli iscritti hanno dato vita a 286.000 invenzioni.
Ci racconti la vostra storia: cos’è e come nasce il progetto HR, Let’s Make it Digital
“HR…Let’s Make it Digital!” è un format proprietario di Balance & Partners – società di consulenza manageriale con focus sulla gestione di grandi trasformazioni aziendali – con l’obiettivo di generare un’esperienza digitale immersiva per i top manager HR di aziende leader di mercato.
L’esigenza che un evento ad alto grado di interazione digitale come “HR… Let’s Make it Digital!” vuole colmare è quella di avvicinare i top managers al digitale vivendolo in pratica sulla loro pelle e facendo loro sperimentare direttamente cosa significa “essere un HR digitale” attraverso l’utilizzo di dinamiche interattive di gruppo e casi di successo applicati ai loro contesti specifici.
A chi vi rivolgete e quali obiettivi vi ponete?
Balance & Partners si occupa di supportare aziende internazionali leader di mercato nella gestione di grandi trasformazioni aziendali e crediamo che oggi non esista trasformazione più grande della trasformazione digitale. Inoltre, avendo uno specifico focus sul mondo HR ed Organizzazione, abbiamo l’obiettivo di abilitare il cambiamento agendo sulle persone. Il nostro mantra è che “La rivoluzione digitale riguarda le persone, non (soltanto) le tecnologie. Riguarda l’intelligenza emotiva, non (soltanto) quella artificiale”
Quale impatto avrà, nel futuro, la rivoluzione digitale?
Userei il presente indicativo e direi che la rivoluzione digitale sta già avendo impatti dirompenti in ogni ambito. Se ci concentriamo sul mondo HR gli impatti di più ampia portata, tra i tanti possibili, sono senz’altro quelli generati dalla Mobility – che abilita lo smart working, il mobile working, il co-working, etc -, dai Big Data – che rendono possibile l’analisi dei profili individuali in tempo reale con focus sia sul personale già dipendente che sui potenziali candidati – e dalla Sharing Economy – “affittare” risorse piuttosto che “comprarle” implicherà per le aziende il poter disporre di capitale umano se e quando necessario e per i dipendenti accedere a contrattazioni individuali connesse a risultati concreti applicando competenze estremamente specifiche per periodi di tempo predefiniti. Queste e molte altre sono le trasformazioni che ci aspettano e che in parte stiamo già vivendo. Le resistenze possono solo rallentare alcuni processi, non certo interromperli. Per questo la strada da seguire è quella di accettare il cambiamento ed accoglierlo per poter massimizzare la grande opportunità data dalla rivoluzione digitale sia in termini di aumento di efficienza e produttività che di miglioramento della qualità della vita individuale.

Quanto conta a vostro parere il Personal Branding nella cultura digital e quanto può diventare un peso?
Il Personal Branding conta perché rappresenta il biglietto da visita (digitale) di ciascuno di noi. Curare la propria immagine digitale può portare indiscussi vantaggi, anche da un punto di vista professionale, in un mondo di profili individuali interconnessi che si incontrano sul web, si cercano, si verificano e si confrontano. La “democraticità” dell’universo digitale implica però anche un grande senso di responsabilità individuale. Esistiamo in chiaro sul web su tutti i canali in cui ci interessa far sentire la nostra voce o ascoltare quella di altri, e questa è una grande opportunità. Di contro, a ciò è connessa la grande responsabilità di gestire il nostro brand personale secondo principi base di coerenza e veridicità, in conformità con i nostri valori personali, con aderenza alla realtà e ad esperienze realmente vissute etc. Può diventare un peso ogni qualvolta ci si discosta dai principi base di cui sopra.
Qualche consiglio pratico: quanto tempo alla settimana un candidato (occupato o no) dovrebbe dedicare ai social, in particolare a LinkedIn?
I social sono luoghi virtuali che popoliamo condividendo noi stessi attraverso contenuti, idee, pensieri, informazioni, contatti etc. Più attenzione mettiamo nel curarli più possiamo aspettarci un ritorno sotto tutti i punti di vista: dall’acquisire contenuti nuovi, ad essere stimolati su tematiche tradizionali viste da prospettive diverse, all’accrescere il nostro network con tutti i risvolti che ciò può comportare, all’adottare modalità innovative di fare cose “vecchie”.
Focalizzandoci in particolare sui social professional networks: i recruiters fanno ricerche sul web dei candidati in shortlist e sempre più spesso costruiscono le shortlists stesse utilizzando il web. D’altra parte, i candidati postano se stessi sui social per poter essere “trovati” ed a loro volta cercano di acquisire quante più informazioni possibili sul recruiter una volta contattati.
Posto tutto quanto sopra, resta difficile quantificare il tempo che un candidato dovrebbe dedicare a LinkedIn, ma mi sento di dire che quanto più il profilo è aggiornato e completo in termini di esperienze e competenze, quanto maggiore è lo scambio di contenuti formativi ed informativi che un candidato genera ed acquisisce sulla propria pagina, quanto più spiccato è l’interesse individuale ad ampliare il proprio network e partecipare a community, tanto più valore – diretto ed indiretto – il candidato stesso riceverà dal social. In conseguenza di ciò credo che esplorarlo un quarto d’ora al giorno possa massimizzare le opportunità che questo tipo di strumento può dare.
Mi ha colpito molto una frase di Fabio Troiani in una intervista al Corriere: “Il profilo più adatto in questo momento è chi fa le domande giuste, non chi dà le risposte giuste”. Posso chiedervi di approfondire l’argomento?
Chi da le risposte giuste è un potenziale buon esecutore, o anche un ottimizzatore, di processi esistenti. Chi fa le domande giuste è un potenziale innovatore, uno che pensa “fuori dalla scatola”. Di questo tipo di persone ci sarà enorme bisogno nella nostra era digitale. Laddove i sistemi organizzativi tradizionali hanno perso competitività ed i nuovi paradigmi cambiano ad una velocità impensabile fino a solo 5 anni fa è imprescindibile mettere in campo persone che percepiscano il cambiamento e lo accolgano per trarne il massimo beneficio senza averne paura o fare resistenza e, soprattutto, che abbiano il coraggio di osare e di procedere su percorsi non ancora battuti. Il primo passo del percorso verso l’innovazione comincia sempre con una domanda, una domanda giusta.