L’Italia è la culla della cultura, la patria della creatività e dell’arte. Alcuni pensano che queste siano solo belle definizioni autoreferenziali per potersi vantare della nostra bella penisola in tutto il mondo, senza un vero e proprio riscontro. Niente di più sbagliato. Le imprese che investono in cultura e creatività vedono crescere le proprie performance in termini di fatturato, export e numero di addetti. A confermarlo i dati emersi dal quinto rapporto realizzato da Fondazione Symbola e Unioncamere che ha analizzato proprio la correlazione tra gli investimenti in cultura e i tradizionali indicatori di vitalità aziendale, evidenziando in che direzione va il Made in Italy.
Il Made in Italy è uno dei tre marchi più conosciuti al mondo. Un vanto che porta con sé la garanzia di alta qualità e ammenda di onorare tradizioni centenarie della raffinata industria artigianale e creativa del Belpaese: cultura, innovazione e tecnologia si fondono per dar vita a un innato stile per il gusto, a una tradizione che guarda al futuro, a un sistema produttivo culturale e creativo forte e lungimirante. Dal Rapporto 2015 “Io sono cultura – l’Italia della qualità e della bellezza sfida la crisi”, elaborato da Fondazione Symbola e Unioncamere con la collaborazione e il sostegno dell’Assessorato alla Cultura della Regione Marche e di FriulAdria, emerge un quadro ben chiaro: nel periodo 2012/2014, quindi in piena crisi, le imprese che hanno investito in creatività hanno visto crescere il proprio fatturato del 3,2% e nello stesso periodo hanno beneficiato di un aumento dell’export del 4,3%, mentre tra chi non ha investito il fatturato è sceso dello 0,9% e si è registrato un contenuto aumento dell’export dello 0,6%.
Il primo passo dello studio realizzato con il patrocinio dei ministeri dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo e dello Sviluppo Economico è stato definire il campo di osservazione andando a classificare le attività economiche in 4 macro settori: industrie culturali propriamente dette (film, video, mass-media, videogiochi e software, musica, libri e stampa), industrie creative (architettura, comunicazione e branding, artigianato, design e produzione di stile), patrimonio storico-artistico architettonico (musei, biblioteche, archivi, siti archeologici e monumenti storici), e performing art e arti visive (rappresentazioni artistiche, divertimento, convegni e fiere). È stato analizzato, inoltre, anche l’impatto degli investimenti in creatività sulle performance aziendali di imprese che svolgono attività economiche differenti ma che possono, non di meno, beneficiare dell’ibridazione con la cultura. Conti alla mano, dalle 443.208 aziende del sistema produttivo culturale, che rappresentano il 7,3% delle imprese nazionali, arriva il 5,4% della ricchezza prodotta in Italia: 78,6 miliardi di euro. Che aumenta toccando gli 84 circa, equivalenti al 5,8% dell’economia nazionale, se includiamo anche istituzioni pubbliche e realtà del non profit attive nel settore della cultura. L’impatto della cultura, però, riesce ad andare anche oltre, grazie ad un effetto moltiplicatore pari a 1,7 sul resto dell’economia: per ogni euro prodotto dalla cultura se ne attivano 1,7 in altri settori. Gli 84 miliardi, quindi, ne producono altri 143 per un totale di 227 miliardi di euro. Una ricchezza i cui effetti si ripercuotono anche sul fronte occupazione: le sole imprese del sistema produttivo culturale, ossia quelle dei 4 macro settori, danno lavoro a 1,4 milioni di persone, il 5,9% del totale degli occupati in Italia. Che diventano oltre 1,5 milioni, il 6,3% del totale, se includiamo anche le realtà del pubblico e del non profit.
Numeri che vanno in contrasto con quanti affermano che in Italia non sia possibile una crescita e non si possa generare occupazione. L’Italia può fare la parte del leone se fa l’Italia e se punta forte su ciò che la rende unica al mondo: cultura, qualità, innovazione, territorio e coesione sociale. Dalla bellezza alla cultura, dallo stile al design, passando per la green economy, il Made in Italy appartiene a tutte quelle imprese italiane che hanno già colto i segnali, che guardano al futuro e scommettono sulla cultura e la creatività per rafforzare il proprio cammino. I passi successivi devono essere fatti nella direzione di integrazione delle politiche culturali all’interno di quelle industriali e territoriali, riconoscendone e accompagnandone il ruolo da protagonista nella manifattura e nell’innovazione oltre che nel turismo. Senza lasciarsi sfuggire le straordinarie occasioni che offrono vetrine come l’Expo 2015.
La politica nazionale non dovrebbe fare null’altro che assecondare e valorizzare gli intrecci tra i vari ambiti della cultura, per restituire ai settori culturali e creativi il loro giusto ruolo per l’economia dei territori, puntando fortemente a farne il cuore del modello di sviluppo economico del nostro Paese. Mettere in campo strategie lungimiranti per agganciare la ripresa puntando sulla qualità, sull’innovazione, sulla bellezza e sulla fantasia, caratteristiche proprie del Made in Italy. Incentivare la crescita di professionalità che sviluppino competenze in arti grafiche, pubblicità, design, web design, tecniche multimediali, sviluppo di software, ecc. O ancora introdurre pratiche per promuovere la cultura e stimolare la creatività come festival, giornate culturali sessioni di brainstorming, lavori di gruppo interdisciplinare e interfunzionale, incentivi ai dipendenti per lo sviluppo di nuove idee.
Le filiere culturali e creative si confermano, dunque, un pilastro del Made in Italy, un sostegno importante alla competitività del nostro Paese. I numeri parlano chiaro. Restare a guardare significa perdere un treno che porta alla crescita. Un’occasione persa per un’Italia che non può più aspettare. Qui si fa l’Italia o si muore.
[Cover credits: Gureu/Flickr]