«Chi ha il dono dell’ironia custodisce la chiave per la felicità». Lo sa bene Paola Minaccioni, protagonista al cinema in questi giorni nella nuova commedia di Massimiliano Bruno «Confusi e felici» insieme a Claudio Bisio. Resistere alla sua verve comica è praticamente impossibile. Ancora di più quando “gioca” a fare la vamp ninfomane, sfatando il mito che la comicità non va a braccetto con seduzione. Sexy o no, quando Paola è sullo schermo non c’è risata che tenga. E pensare che i primi passi artistici li ha mossi in teatro misurandosi con testi di Checov e Becht. Formazione drammaturgica classica e vocazione comica, la rendono un’attrice eclettica come poche, capace di spaziare da commedia a dramma. Per questo i registi continuano a cercarla insistentemente. L’ultimo anno per la Minaccioni è stato un susseguirsi di impegni ma anche di tante soddisfazioni e riconoscimenti: il Nastro d’Argento come migliore attrice non protagonista e la nomination ai David di Donatello, entrambi conquistati per lo straordinario ruolo di Egle Santini in «Allacciate le cinture» di Ferzan Ozpetek, un personaggio che lei definisce come un “miracolo”. Cambiando genere, prossimamente invece la vedremo nella commedia «Un Natale stupefacente» accanto a Lillo & Greg. Nel nuovo anno poi un ritorno alle origini, perché dopo tanto cinema la nostalgia del palcoscenico si fa sentire, come ci racconta in questa intervista.
Sei tra i protagonisti della nuova commedia di Massimiliano Bruno, «Confusi e felici»; ci racconti di questo film e del personaggio che interpreti?
Interpreto Vitaliana, una donna profondamente sola, incapace di vivere il presente e ancora aggrappata a una relazione che è finita ormai da sette anni. Il giorno in cui finalmente riesce ad uscire da questo amore non corrisposto, praticamente attiva un transfert col suo analista. Insomma passa da un amore impossibile all’altro. È vagamente ninfomane ed esprime questa sua inadeguatezza attraverso l’adorazione di una parte specifica del corpo del suo analista, il capezzolo. Ma è chiaro che questo è sintomatico di una persona che non sa niente dell’amore, e anzi, è ossessionata dai propri problemi al punto da non accorgersi che il suo analista non è minimamente interessato a lei. Tutti i personaggi di questo film, sono in realtà molto presi da sé stessi, perché in fondo andare in analisi è diventata quasi una forma di egocentrismo, in cui ci si concede troppo tempo, a volte, per parlare di sé stessi. E anche i pazienti di Bisio sono degli egocentrici incalliti, dei solitari, che poi, per fortuna, saranno costretti ad emanciparsi dalle loro patologie, nel momento in cui, di fronte al problema del loro analista, iniziano a guardare oltre sé stessi.

Del resto la morale del film è proprio una solidarietà tra persone che aiuta a superare i propri disagi esistenziali. Nella vita reale di oggi è possibile o queste cose accadono solo nei film?
Non solo la solidarietà ma anche guardare oltre e occuparsi di altro da sé. Credo che questo sia un messaggio molto moderno perché da qualche anno ormai, complice anche la crisi, la tendenza culturale è quella di chiudersi troppo in sé stessi. Invece bisognerebbe riscoprire il senso di solidarietà e di appartenenza a una comunità, per vivere meglio e anche per superare questo momento drammatico.
A proposito di comunità, com’è stato lavorare con questo gruppo di “squilibrati” (in senso positivo), da Claudio Bisio a Marco Giallini, Rocco Papaleo e lo stesso Bruno?
Sono tutti delle grandi personalità e hanno un approccio alla vita così leggero che già per questo hanno tutta la mia stima, perché credo che chi abbia il dono dell’ironia in fondo custodisca la chiave per la felicità. I nostri diversi registri comici si rispecchiano nei personaggi che interpretiamo che sono così differenti l’uno dall’altro, ma è stato proprio questo il valore aggiunto di questo film. Massimiliano Bruno ci ha scelti lasciandoci poi liberi di lavorare secondo le nostre corde, facendo emergere il meglio della nostra comicità. A parte Claudio Bisio, che è stato una rivelazione soprattutto umana, ci conoscevamo già tutti quindi sul set si respirava un’atmosfera quasi goliardica. Il più caciarone di tutti in assoluto è il regista. Non so a volte come faccia Massimiliano a gestire contemporaneamente il set, gli attori, il team, sé stesso e girare un film.

Tra nevrosi e psicanalisi, con Vitaliana che gioca a fare la “sexy” hai sfatato un po’ il mito che la comicità non fa rima con seduzione. O almeno ci hai provato….
L’aspetto fisico non dovrebbe condizionare un personaggio e la sua comicità, né nel bene né nel male. Perché non è vero che un attore brutto fa ridere di più, se uno è un cane non fa ridere, punto. Il gioco di noi attori è un gioco a 360°, uno dei miei insegnanti di recitazione al Centro Sperimentale diceva che ognuno ha in sé tutte le note a disposizione e sta a noi, poi, suonare quelle che servono per un personaggio che sia comico, più drammatico o sexy. Questa è la cosa più bella di questo lavoro, poter essere sempre diversa ed essere allo stesso tempo comica e femminile perché ci tengo a rivendicare questa cosa: le donne possono essere allo stesso tempo intelligenti, ironiche e sensuali.
Nel film interpreti una donna ossessionata dagli uomini, la tua “ossessione” nella vita reale invece qual è?
Come tutti gli attori che fanno il proprio lavoro con passione dedico molto tempo a tenermi informa, poi certo, se il ruolo lo chiede, posso ingrassare o dimagrire, come per il ruolo straordinario nel film di Ferzan Ozpetek, però cerco sempre di tenere sotto controllo il mio peso, forse è questa la mia vaga ossessione nella vita. Anche perché da piccola sono stata molto grassa, e anche quando si dimagrisce, a volte si è convinti di esserlo ancora. Anche di fronte ad una taglia 40 che ti sta bene, c’è una vocina che ti dice “Beh, sarà il modello che è fatto così”.
Parliamo di “Allacciate le cinture”. Al quarto film con Ozpetek ci hai regalato un personaggio che ha conquistato tutti, critica e pubblico. Com’è stato calarsi in un personaggio tragico, per te che sei un’attrice lavora spesso sul comico?
Io cerco sempre la verità nei personaggi, o almeno, provo a capire i motivi reali che li spingono ad essere in un determinato modo; e in questo senso l’approccio che ho avuto per Vitaliana è stato simile a quello per Egle. Ferzan mi ha fatto un grande regalo scrivendo questo personaggio apposta per me, intravedendo dentro di me questa possibilità e sapendo che avevo qualcosa da dire. Quindi in realtà interpretarla è stato molto facile perché il personaggio era già scritto talmente bene. A film finito ho capito che il rischio maggiore che avevamo corso era stato sull’immagine molto forte. Ma arrivare al cuore delle persone con un personaggio così respingente è stato veramente un miracolo, perché quando hai qualcosa da esprimere, non importa come sei ma quello che dai e che ricevi poi in cambio. Ed Egle mi ha dato davvero tanto.

Con Egle hai dimostrato di avere assolutamente nelle tue corde anche ruoli drammatici, ma per un attore è più facile far ridere o far piangere?
La risata è un qualcosa che nessuno ti può dire come ottenerla, o ce l’hai o non ce l’hai. Invece una scena drammatica, con un po’ di musica, uno sguardo, magari ce la puoi anche fare. Io ho lavorato tanto sul drammatico, soprattutto al teatro, al cinema mai, ma non mi manca più di tanto perché sono comunque felice di avere la possibilità di far ridere, che è una grande cosa. E anzi, mi auguro soprattutto di poter affrontare dei livelli sempre più alti di commedia, lavorare con registi come Garrone, Virzì, Lucchetti e di avere l’opportunità di esplorare diverse possibilità.
Presto invece ti vedremo in un’altra commedia, «Un Natale Stupefacente», accanto a Lillo&Greg. Cosa puoi anticiparci a riguardo?
È una commedia che unisce ironia e romanticismo con un pizzico di surreale, ma soprattutto fa ridere senza essere volgare. Io e Ambra Angiolini poi abbiamo due ruoli stupendi, e qui altra piccola parentesi, non ci sono ruoli decenti per le donne: o ti fanno fare le belle statuine o le comiche. In questo film io interpreto Marisa che nel pieno di una crisi esistenziale lascia il marito Lillo; e qui già si vede l’originalità perché è una donna a lasciare un uomo e non il contrario; Marisa è un personaggio a tutto tondo, una donna che sta cercando qualcosa nella vita e mentre prova a trovarlo viene coinvolta nei tranelli orchestrati da Lillo & Greg a lei e al suo fidanzato Giustino, interpretato da Paolo Calabresi. È un ruolo molto divertente, perché ci sono molti momenti comici in cui faccio anche da spalla, ma è anche un personaggio molto tenero. Sono sicura che le donne che andranno a vedere il film si riconosceranno in lei. E per me questa è una conquista perché desidero fare più spesso personaggi di questo tipo, reali che magari sappiano anche divertire senza essere dei “caratteri”. In questo momento il pubblico vuole sentirsi rappresentato, c’è stata un’inversione di tendenza, ora le persone vanno al cinema a vedere chi sono loro realmente, non come potrebbero essere.

Dopo tanto cinema non hai voglia di tornare a recitare anche sul palcoscenico?
Si, ho dei progetti per l’anno prossimo però ancora non so bene quale spettacolo farò. Mi manca tanto il teatro, sono ferma da un po’ perché non ho potuto e poi perché aspettando che si concretizzino delle cose in cui credo; sto scrivendo e sto portando avanti due progetti, uno si chiama “Pure Paola”, l’altro “La donna che ama troppo”, ma sono ancora in lavorazione e anche i titoli sono provvisori. Ma ci sono anche altre cose a cui tengo tantissimo anche se ora è ancora presto per parlarne. A teatro sono a casa mia, è il campo base.
Questo per te è stato un anno pieno di impegni ma anche di tante soddisfazioni e riconoscimenti. La tua sfida per il futuro?
Continuare a studiare, fare esperienza, non fermarmi qui dove sono arrivata ora, ma non solo come obiettivo di fama, quello che mi piacerebbe è fare un percorso di ricerca che mi permetta di non essere uguale a me stessa ma di cambiare e sorprendere , lavorando con registi sempre diversi.
In conclusione, tornando al titolo del film di Massimiliano Bruno. La felicità per Paola Minaccioni è….?
La felicità per me è una scelta perché credo che se non si sceglie di essere felici non arriverà mai il momento perfetto in cui esserlo. Nella scelta della felicità c’è anche il segreto di imparare a godere delle piccole cose nel momento in cui le vivi e a superare le difficoltà. Come diceva Gandhi “La vita non è aspettare che passi la tempesta, ma imparare a ballare sotto la pioggia”.
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