La laurea. Quel pezzo di carta che possa garantire un futuro più roseo e un’occupazione sicura. Almeno in teoria. Stando ai fatti, c’è una fetta di laureati a cavallo del periodo della crisi (2008-2014) che fa fatica a posizionarsi come vorrebbe, con difficoltà che condizionano occupazione, retribuzione e carriera non solo a breve ma anche a lungo termine. Nonostante si avverta qualche segnale di ripresa, chi ha appena terminato il percorso di maturità si trova, quindi, a fronteggiare una scelta non facile. Iscriversi all’Università o cercare di entrare al più presto nel mondo del lavoro? E per chi continua gli studi, quale corso di laurea “garantisce” un’occupazione?

Lo scenario che i giovani maturati trovano davanti ai propri occhi non è di certo tutto rose e fiori. E le loro scelte ne escono fortemente condizionate. Da una parte gli effetti della riforma del mercato del lavoro rimangono ancora un’incognita, dall’altra i nodi strutturali ancora irrisolti in cui versa il Paese restano sempre gli stessi: un sistema imprenditoriale in cui prevalgono gestione familiare (ben il 66%, contro il 36% della Spagna e il 28% della Germania), basso livello di istruzione degli imprenditori (solo un manager su 4 ha una laurea), limitata capacità di innovazione e internazionalizzazione. Che fare quindi? Investire sulla propria formazione sembra rivelarsi la strada più percorribile. Secondo quanto afferma Almalaurea, infatti, a cavallo della recessione (dal 2007 al 2014), il differenziale tra il tasso di disoccupazione dei neolaureati e dei neodiplomati è passato da 3,6 a 12,3 punti percentuali, a conferma delle migliori opportunità lavorative dei primi rispetto ai secondi. E le performance restano migliori nel tempo, sia in termini di opportunità occupazionali (75,7% di occupati, tra i primi, contro il 62,6% dei secondi) che retributive (fatto 100 il guadagno dei diplomati, i laureati guadagnano circa il 50% in più).

Ma quali corsi di laurea creano più possibilità di occupazione? Quelli con la percentuale più alta di occupati, come è storicamente noto, rimangono quelli in ambito medico (97%), seguiti dalle facoltà di ingegneria (90,7%) e dagli indirizzi economici e statistici (87,5%). A chiudere la classifica sono, invece, le lauree in ambito geo-biologico, chimico-farmaceutico e letterario che, quasi a sorpresa, hanno comunque tassi occupazionali superiori al 60%. Il rapporto Almalaurea 2015 incorona le professioni medico-sanitarie, ponendole in vetta alla classifica delle chance occupazionali. A cinque anni dalla laurea magistrale, infatti, il tasso di occupazione sfiora la totalità (97%), con stipendi netti medi tra i 1600 e i 1700 euro, cifre che in media rispecchiano anche il guadagno mensile netto degli ingegneri. Viene da pensare quasi che possa essere un sogno se si considera la media retributiva dei giovani sotto i 30 anni, basti pensare che per indirizzi come quello psicologico, fanalino di coda, la prospettiva di stipendio si ferma ad appena 962 euro mensili.

Il primato delle professioni medico-sanitarie si può riassumere in due punti. L’offerta didattica in questo campo è sicuramente di qualità, improntata in entrambi i casi a esperienze formative molto pratiche e professionalizzanti, aspetti di cui invece sono carenti altri percorsi universitari. Questi corsi intercettano, inoltre, una domanda crescente all’interno dalla società in cui viviamo. L’assistenza sanitaria, così come la conoscevamo fino qualche anno fa, prettamente ospedaliera e pubblica, ha poco a poco cambiato le proprie peculiarità per andare incontro a nuovi bisogni. Uno su tutti, l’invecchiamento della popolazione che con la richiesta di un’assistenza sempre più capillare (per riabilitazione, malattie croniche, sostegno a lungo termine, ecc.) e di prestazioni specialistiche vicine ai cittadini, ha mutato completamente il panorama nell’ambito sanitario e assistenziale. Il futuro prossimo, non a caso, è la figura dell’infermiere di famiglia, prevista dall’Organizzazione mondiale della sanità, e su cui molte Regioni stanno già lavorando.

Nel 2014 le prestazioni infermieristiche erogate fuori dagli ospedali sono state 8,7 milioni, per un valore di 2,7 miliardi di euro (dati Censis). Anziani, malati cronici e persone non autosufficienti richiedono, quindi, un’assistenza sempre maggiore e, soprattutto, regolare. Motivo che rende le professioni sanitarie molto appetibili, anche solo dopo la triennale: i dati Almalaurea, infatti, confermano che a un anno dalla triennale oltre il 92% dei laureati non è iscritto a un corso specialistico né ad un altro corso triennale, mentre il 61% risulta già occupato (con un guadagno medio, in questo caso più basso, intorno ai 1160 euro netti). I corsi specialistici in questo settore offrono poi la possibilità di acquisire competenze gestionali e di coordinamento che permettono di ambire a quello scatto in termini di retribuzione e carriera.

Nonostante lo scenario presente e futuro resti estremamente incerto, dunque, sembra che con la laurea si minimizzino quanto meno i danni. Ai giovani diciannovenni non resta che fare la scelta giusta, e magari anche la più lungimirante.

[Cover credits: Fattodame/Flickr]