L’Italia non è un paese fertile per la nascita delle startup e a dirlo è il report “Startup Ecosystem Ranking 2015” realizzato da Compass, azienda specializzata in strumenti di analisi e comparazione, in cui nessuna città o area italiana appare in classifica. In vetta ovviamente c’è la Silicon Valley e tra le capitali europee, compaiono soltanto Berlino, Londra, Parigi e Amsterdam (ecco il link ad un nostro precedente articolo).

Il dato sconfortante risale a luglio 2015, ma la situazione per le startup italiane non può far altro che migliorare e il motivo è abbastanza semplice e intuibile. In Italia, infatti, il concetto di startup innovativa è stato introdotto per la prima volta nel nostro ordinamento solo a fine 2012 con il Decreto legge 179/2012 più noto come “Decreto Crescita 2.0”. Con questo decreto, per questo tipo di imprese, veniva predisposto un quadro di riferimento che interveniva per agevolare l’ingresso nel mondo del lavoro a chi, in possesso di particolari requisiti, costituiva una società ad alto tasso innovativo.

A questa “innovazione” nel nostro ordinamento si è poi aggiunto nel 2015, il Decreto Legge 3/2015 il cosiddetto “Investment Compact”, convertito con modificazioni dalla Legge 33/2015. Con questo ulteriore decreto si è deciso di rivolgere le misure già previste a beneficio delle startup innovative a una platea di imprese potenzialmente molto più ampia: cioè a tutte le piccole e medie imprese che operano nel campo dell’innovazione tecnologica, a prescindere dalla data di costituzione, dall’oggetto sociale e dal livello di maturazione. Si è così venuta a creare una nuova categoria di impresa innovativa: le PMI innovative.

Soffermando la nostra analisi sulle startup innovative il rapporto del terzo trimestre 2015 di Infocamere sulle società iscritte in Camera di Commercio evidenzia un incremento di 456 unità in più rispetto al 30 giugno 2015. Sono infatti 4704 al 30 settembre 2015 con un incremento pari al 10,8% (al 7 dicembre il dato è ulteriormente salito a 5016 unità) rispetto a giugno. Rapportando il dato al totale delle società di capitali italiane (circa un milione e mezzo), quelle innovative rappresentano lo 0,31%.

La principale attività svolta è quella dei “servizi alle imprese“. Il 72,3%, infatti, fornisce servizi rivolti in particolare alle seguenti specializzazioni: produzione software e consulenza informatica (29,8%), attività di R&S (15,4%), attività dei servizi d’informazione (8,2%). Il 18,8% opera nei settori dell’industria in senso stretto mentre il 4,2% nel settore del commercio.

Abbiamo parlato di startup e della “situazione Italia” con Marco Bicocchi Pichi, presidente di Italia Startup, l’associazione no profit che sostiene e dà voce all’ecosistema delle startup italiane, anche alla luce dell’Unbound Digital che si è tenuto in questi giorni a Londra e ha visto la partecipazione di un folto numero di startup italiane.

Credits: Italia Startup
Credits: Italia Startup

Cos’è Italia Startup, qual è la sua mission e quante startup italiane vi hanno aderito sin dalla sua fondazione nel 2012? Perché una startup dovrebbe aderirvi?

Italia Startup è l’associazione che unisce l’ecosistema dell’innovazione in Italia con la missione di “fare grandi le imprese innovative ed innovative le grandi imprese”. Le startup sono giovani imprese innovative ad alto potenziale di crescita, come è scritto nello statuto dell’Associazione. Si tratta di imprese temporanee alla ricerca di un business model scalabile e sostenibile. La definizione non ha le stesse modalità di applicazione per le startup del digitale come per quelle delle biotecnologie o del life science ma la dimensione della crescita e del potenziale di sviluppo le accomuna. Le startup aderenti sono circa 300 e stiamo lavorando per aumentare il numero degli associati in maniera accelerata. Le motivazioni per cui si aderisce ad Italia Startup sono diverse ma la più importante di tutte è “fare sistema” e raggiungere quella massa critica che si merita l’ecosistema italiano delle startup innovative. Un’associazione imprenditoriale vive di rappresentanza, network e servizi ed Italia Startup non fa eccezione. Dare forza a Italia Startup e aderirvi vuol dire dare peso agli innovatori e unirsi per aumentare la visibilità e l’importanza del nostro ecosistema nei confronti dei diversi stakeholder italiani ed esteri.

Ben 55 startup italiane hanno partecipato all’Unbound Digital che si è tenuto a Londra dal 30 novembre al 2 dicembre. Un momento di visibilità e di incontro tra founder e investitori internazionali. Qual è la percezione del sistema Italia? E come è andata questa tre giorni per le startup italiane?

La delegazione ad Unbound Digital London del 2015 ha seguito le iniziative internazionali iniziate con Unbound Digital London 2014, Singapore InnnovFest ad Aprile 2015, DLD Tel Aviv a Settembre 2015 e Slush Helsinki 2015. La formula della delegazione nazionale è di grande importanza per dare visibilità al nostro ecosistema e rappresenta una piacevole sorpresa per molti investitori e stakeholder internazionali. C’è voglia d’Italia e siamo bene accolti anche se ancora il nostro spazio nell’arena internazionale dobbiamo conquistarcelo. Nell’appuntamento londinese c’è stata piena collaborazione tra ITA Italian Trading Agency, Camera di Commercio Italo Britannica ed Italia Startup e considero molto importante unire le forze. La Francia per la “French Tech” ha stanziato 15 Milioni di Euro per la partecipazione ad eventi internazionali, ben altri investimenti. Siamo in crescita ed incominciano ad emergere le “scaleup” ed arrivano riconoscimenti internazionali. Da non sottovalutare il fatto che le startup italiane sono felici di queste occasioni per almeno 3 motivi: a) perché hanno occasione di farsi conoscere da investitori e imprese internazionali; b) perché fanno networking tra di loro; c) perché toccano con mano il valore dell’essere tutti insieme a rappresentare l’innovazione italiana nel mondo.

Credits: Italia Startup
Credits: Italia Startup

Quando si parla di startup si pensa, nell’immaginario collettivo, a giovani imprenditori alle prime armi con tante buone idee ma con poca esperienza e non perfettamente preparati. Da una vostra ricerca effettuata su un campione di 400 startup risulta un identikit di startupper ben diverso. Può descrivercelo?

Gli startupper Italiani – finanziati – sono prevalentemente quarantenni, laureati o con master, esperienza di lavoro od impresa e a questi si affiancano anche giovani, in gran parte neo laureati, spesso con una competenza significativa in ambito digitale o di nuovi prodotti hi-tech. Questi ultimi, talvolta, sono capaci di muovere i primi passi da soli e con grande efficacia. C’è tanta sostanza insomma.

Che rapporto c’è tra le startup e il Governo? Quanto si potrebbe fare di più per il sistema delle startup italiane e quali sono le differenze con le altre realtà europee e extraeuropee?

Negli ultimi tre Governi a partire dall’attenzione data dal Ministro Passera con Restart Italia agli eventi #ISDay, vi è stato un dialogo aperto soprattutto con il MISE e sono stati approvati importanti provvedimenti. Il rapporto c’è e questo è importante e positivo. Con il Ministro Guidi ci confronteremo il 16 Dicembre in una sessione di lavoro di valutazione dei risultati, che conterrà come è normale luci ed ombre. Possiamo dire che si può e si deve fare di più e che il focus deve essere sulla moltiplicazione degli investimenti privati. Occorre un provvedimento di incentivo fiscale sugli investimenti (modello SEIS ed EIS del Regno Unito) perché è fondamentale far togliere i soldi dal materasso e dalla rendita finanziaria ed indirizzarli agli investimenti produttivi ad alto potenziale di crescita, di occupazione e di esportazione. Le scaleup sono imprese vocate ai mercati globali ed è fondamentale che l’Italia inserisca innovazione per assicurare il futuro del made in Italy. Il digitale non è solo prodotto e servizio, è tanta innovazione dei processi inclusi quelli delle filiere delle tre F di Food, Fashion and Furniture. Per non dimenticarsi della manifattura 4:0 forse la sfida principe per l’Italia alla convergenza tra tecnologia, design e competenze di prodotto. Il governo può favorire l’azione in sede Europea per la nascita di uno spazio europeo delle startup rimuovendo ostacoli alle attività internazionali accelerando riforme che superino i nazionalismi ed intervenendo sulle norme relative agli aiuti di Stato che paiono spesso inappropriate e contrarie allo spirito di favorire la concorrenza, quando applicate a provvedimenti di vantaggio per le startup.