In un’epoca in cui le serie tv appaiono e scompaiono dai palinsesti da un giorno all’altro, la longevità è un’aspirazione quasi utopica. Peggio di una serie tagliata troppo presto, con finali indegni, se non addirittura dei “non finali”, c’è il rischio che lo show si trasformi, di stagione in stagione, in una lunga agonia narrativa senza alcuna logica, con personaggi che vanno e vengono e trame ripetitive che annoiano anche lo spettatore più appassionato. Come per il cinema, anche la tv seriale avrebbe bisogno di qualcuno che sappia quando sia il momento migliore per dire basta. Che in genere è quando uno show inizia a sacrificare la qualità per la quantità, spesso per ragioni solo economiche e per nulla creative. Alcuni spettacoli tuttavia, hanno più capacità di resistenza al tempo rispetto ad altri. Se no, non si spiega come riescano a mantenere intatto negli anni il loro appeal, continuando a realizzare performance competitive in termini di audience. Pensiamo solo alle fiction di casa nostra. Ogni anno la tv italiana sforna nuovi prodotti, sulla carta competitivi, eppure in questo ricco e affollato mercato audiovisivo a fare risultato sono sempre gli stessi: Don Matteo e Un Medico in famiglia ad esempio, entrambi alla nona edizione con una decima già in cantiere, ma anche Il Commissario Montalbano, Squadra Antimafia o I Cesaroni. A guardare il costante successo di queste serie divenute ormai punti di riferimento fissi dell’immaginario televisivo nazionale, sembrerebbe che longevità sia una caratteristica assolutamente vincente per una buona parte della fiction made in Italy. A differenza della serialità americana che, salvo qualche eccezione, non va mai oltre le sei stagioni.

Credit Photo:  Rai
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Il caso più emblematico è Don Matteo. In sella alla sua inseparabile bicicletta, il prete investigatore interpretato da Terence Hill da quattordici anni risolve brillantemente crimini e misteri, riscuotendo successo tra il pubblico di Rai uno: la nona serie è riuscita ad incollare al teleschermi una media di 7.826.000 spettatori e uno share che oscilla tra il 28 e il 30%, superando ogni record registrato nelle stagioni precedenti. Tonaca svolazzante, sorriso rassicurante e intuito geniale, da solo il prete detective ha trainato tutta la fiction italiana che nell’ultimo periodo ha perso audience e share. Un risultato inaspettato per una fiction così longeva, in controtendenza rispetto al destino di molte altre serie tv. La fiction della Lux Vide è un prodotto pulito, garbato nel modo di porsi, senza violenza né volgarità, che piace perché riesce a conciliare alla perfezione il divertimento e la riflessione etica.

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Un medico in famiglia forse non raggiunge i livelli (di audience) del prete Terence Hill, eppure dopo sedici anni di messa in onda continua a macinare consensi mantenendo quasi intatto lo zoccolo duro di fedelissimi. I primi episodi della nona stagione hanno riscosso un discreto successo con una media del 23% di share, mantenuta costante per tutta la durata della serie, nulla però, se paragonato ai numeri degli anni scorsi. Alla famiglia Martini in 260 episodi è accaduto un po’ di tutto: nascite, addii, morti, ritorni. Difficile non cadere nella trappola della ripetitività. Invece, mai come prima, in questa stagione si è respirata una ventata di novità, grazie ad un azzeccatissimo turn over, tanto vitale quanto pericoloso per fiction che durano da tanto, ma anche a storie che hanno visto protagonisti le giovani leve di casa. Rinnovamento sì ma senza tradire il cuore e l’atmosfera leggera e informale che l’ha resa negli anni una certezza del panorama televisivo italiano, “un grande albero” – come l’ha definita il direttore di Rai Fiction Andreatta – che cresce di anno in anno con nuovi rami che si aggiungono a quelli vecchi e radici solide e inossidabili che si chiamano Lino Banfi, alias nonno Libero, il collante di questa famiglia affollata e confusionaria che piace perché vera.

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Che dire poi de Il commissario Montalbano. I numeri da capogiro ottenuti dai quattro episodi dell’ottava stagione, trasmessa tra aprile e maggio 2013, parlano chiaro: una media di 10.129.000 spettatori e uno share del 35,98%. Anche in replica, l’investigatore nato dalla penna di Andrea Camilleri riesce ad ottenere ascolti incredibili confermandosi tra le serie più seguite di sempre. Considerando tutti i 26 episodi, più tutte le repliche trasmesse dal 1999 ad oggi, sono ben 800 milioni i telespettatori italiani che hanno seguito le vicende del commissario più famoso della tv, oltre il miliardo se si tiene conto anche dei paesi in cui il formato è stato esportato.

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In casa Mediaset a prendere il posto di Distretto di Polizia – conclusa nel 2012 dopo ben 11 stagioni e 282 episodi – nel cuore degli spettatori, soprattutto più giovani, è stata un’altra fiction targata TaoDue, Squadra Antimafia. La quinta stagione (trasmessa da settembre 2013) della serie con protagonista il divo del piccolo schermo Marco Bocci si è chiusa col botto totalizzando nell’ultimo episodio una media di ascolti pari al 24.6% di share, decisamente superiore a quella delle serie precedenti. La sesta stagione è già stata girata ed è molto probabile che presto arrivi sul set anche la settima.

Credit Photo: Mediaset
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Capitolo dolente invece per I Cesaroni, che ad autunno ritorneranno su Canale 5 con la sesta stagione nonostante il forte calo subito dalla quinta serie, con quasi 5 punti di share in meno rispetto ai tempi d’oro, e una media che si aggira appena al 20%. In realtà anche la serie precedente non si era conclusa felicemente per la famiglia allargata della Garbatella, con un pauroso tracollo di spettatori nel finale: dagli otto milioni della terza serie ad appena 5 milioni per gli ultimi due episodi della quarta. La sensazione è che, a differenza di altre fiction formato famiglia di successo, in questa quanto di buono c’è stato all’inizio sia stato spremuto fino all’inverosimile con il risultato di trame e gag troppo banali e scontate. E chissà se basteranno novità e new entry a risollevare le sorti di un prodotto che orfano di molti dei suoi personaggi cardine, sembra semplicemente aver esaurito il suo corso.

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Tutti questi esempi ci mostrano che non c’è una formula assoluta per definire il successo della lunga serialità. Il giusto formato conta, in parte. Ma come conta la presenza di protagonisti che durino nel tempo, in grado di suscitare l’empatia del pubblico e di rassicurarlo quando il resto del cast si dà alla fuga. Poi ci sono inevitabilmente le storie: semplici, di qualità e in cui ci si possa identificare facilmente. O forse il segreto per durare è semplicemente offrire quello che piace al pubblico. E se il pubblico c’è, lo spettacolo continua.

[Credit Photo Cover: Raitv.it]