Tutti conoscono vari malesseri che rendono schiave migliaia di persone, vittime di una errata percezione del proprio corpo. Ma in pochi conoscono un altro, e differente aspetto legato ad un’alterata percezione di se stessi, un’altra faccia della stessa infausta medaglia: la vigoressia. Il termine è entrato a far parte del dizionario quotidiano circa all’inizio degli anni ’90: nel 1993, Pope, Katz e Hudson, inserirono per la prima volta questa parola, che fu descritta in una pubblicazione scientifica. Probabilmente è più conosciuta con il termine di reverse anorexia (anoressia inversa), e, forse, questa prima definizione è in grado fin da subito di far comprendere l’oggetto della trattazione. Da li in poi i modi per definirla si sono perfino moltiplicati, parlando di bigoressia o più genericamente di complesso di Adone.
Per vigoressia si intende la tendenza ossessiva ad avere un fisico perfetto. Si tratta di una vera e propria dismorfia muscolare, ovvero una preoccupazione cronica di non essere sufficientemente muscolosi associata a una percezione distorta delle reali caratteristiche fisiche. Tutto questo a discapito della propria salute.
Si vuole essere sempre in forma, sempre più grossi, sempre più forti. Lo specchio non riflette la realtà. E quindi ci si dedica solo ed esclusivamente ad allenamenti massacranti, a diete esclusivamente proteiche (e magari anche a sostanze illecite). Il tutto perché non ci si crede abbastanza.

Di certo non basta trascorrere ore ed ore in palestra ad allenarsi per effettuare una diagnosi di questo tipo; questo è solo un indizio che da solo non significa nulla. E anche una crescente attenzione per ciò che si mangia non conferma necessariamente il medesimo stato. Ciascun elemento preso singolarmente non è sufficiente, e spesso non basta neanche individuarne più d’uno. Così come trascorrere del tempo ad ammirarsi allo specchio è più spesso un peccato di vanità, piuttosto che un indice di vigoressia. In sostanza, essere affetti da vigoressia significa principalmente avere un atteggiamento ossessivo rispetto a tutto questo, manifestare continuamente preoccupazione per i “risultati fisici”, che porta sia al timore di regredire rispetto alla forma in cui ci si trova, sia al costante impegno di migliorare sempre di più le proprie dimensioni fisiche.
È una spirale in cui si viene risucchiati in pochissimo tempo, e che mette in serio rischio la salute fisica delle persone. Ma non solo quella. Perché la vigoressia porta ad un progressivo isolamento dal contesto sociale in cui si vive, incentrando la propria vita su un unico e rigo comportamento, finalizzato all’aumento del volume muscolare. Quello che si nasconde dietro la vigoressia non è, dunque, soltanto una bomba (auto)innescata sotto il profilo del benessere fisico, ma anche una forma di debolezza e sofferenza emotiva, e un’insicurezza di fondo che si cerca di compensare attraverso l’esibizione e l’ostentazione del proprio corpo.
Sicuramente i modelli culturali di bellezza e prestazione fisica (sopratutto nei contesti sportivi) giocano un ruolo molto importante nello sviluppo della vigoressia, sopratutto se di fondo ci sono un senso di inadeguatezza e una paura di fallire insite nella persona. Questo atteggiamento può essere un’arma a doppio taglio: manca una reale presa di consapevolezza del problema e, a parlarne, si rischia, quasi certamente, di essere fraintesi, si corre il rischio che il messaggio lanciato venga frainteso e raccolto come un inno alla sedentarietà. La cosa più difficile è, dunque, far comprendere a chi soffre di vigoressia che questi eccessi sono il sintomo di una profonda insicurezza, ma è proprio questo il primo passo per riconoscerla e per saperne uscire.
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