Alla parola Whiplash, la mente di molti andrà al trascinante singolo – contenuto in Kill ‘em all – degli arrabbiatissimi Metallica del 1983. Tuttavia, l’omonimo film che dal nulla si è ritrovato candidato a cinque Premi Oscar (tra cui miglior film) ha ben poco da spartire col metal: a ispirare il lavoro del classe ’85 Damien Chazelle (un passato da batterista e un futuro più che promettente) è un brano jazz composto nel 1973 da Hank Levy ed eseguito dalla band di Don Ellis. Perchè il jazz – e questo è palese dal principio fino all’epilogo dell’opera – è il vero protagonista di Whiplash: si fa assoluto catalizzatore delle vite dei personaggi che si ritrovano al suo cospetto.
Come Andrew Neyman (Miles Teller), giovane batterista di talento, iscrittosi al prestigioso conservatorio Shaffer: il suo obiettivo è diventare tra i migliori interpreti in campo jazz. Insegnante della band è l’incorruttibile e ultra-severo Terence Fletcher (J.K. Simmons), che persiste da anni nella ricerca dei nuovi Charlie Parker e Buddy Rich. Il coraggio e l’abnegazione di Andrew non passano inosservati ma per far breccia nel cuore di Fletcher – come scoprirà Andrew – ci vuole ben alro. Tra i due si sviluppa una sorta di vibrante dialettica tra il maestro e l’allievo, che porterà il ragazzo al limite delle proprie possibilità artistiche e professionali.
Gli addetti ai lavori (non i critici cinematografici, i musicisti di professione) hanno fatto registrare pareri discordanti a proposito di Whiplash: perlopiù apprezzata per ciò che concerne il lato tecnico-corografico delle esecuzioni jazziste, l’opera di Chazelle non convince come approccio i suddetti addetti ai lavori, i quali hanno ritenuto, per la maggior parte, ridicola e pretestuosa l’idea di musica ( nella fattispecie di jazz) sviluppata. L’espediente dell’imberbe e caparbio giovanotto che cresce a forza di umiliazioni e sganassoni ricevuti dal sergente Hartman di turno è parsa inappropriata, se non banale. La questione, tuttavia – e come spesso capita – è un po’ più complessa.
Ci sono, tanto per cominciare, due modi agli antipodi – eppure in qualche modo similari – di intendere il raggiungimento dell’obiettivo (e quindi di intendere la vita) che provengono da due mondi distanti e discordanti, quello dell’incosciente e durissima giovinezza e quello della mistica e amarissima maturità. Le figure di Andrew Neyman e di Terence Fletcher, dominate nel profondo dalla musica – in forma di sottomissione pressoché totalizzante – potrebbero rappresentare a prima vista il classico gioco delle parti che vede il primo come eroe positivo nel suo percorso, ostacolato dal villian, l’insegnante. In realtà, la loro dialettica assume una ramificazione che proietta i due personaggi – insieme – in un arco di tensione verso la perfezione, verso l’assoluto: esemplare, in tal senso, l’abbagliante epilogo.
Dal punto di vista tecnico Whiplash è d’alta scuola: una fotografia messa a disposizione degli strumenti musicali, quasi vivisezionati, si unisce a un montaggio e un comparto sonoro di alto livello. Chazelle, passato da jazzista e autore raffinato ed equilibrato, dimostra di avere le idee chiare, riciclando con efficacia senza ridondanze l’espediente dell’impresa – sportiva o artistica – espletata mediante sacrifici mentali e fisici (vedremo letteralmente scorrere lacrime e sangue), che lo collega in qualche modo a Rocky o a un film di Van Damme dei tempi d’oro. Il tutto condito da una morale e da una coerenza di fondo che convincono.
A contribuire alla riuscita del progetto, concorrono senz’altro i due protagonisti: bravo Miles Teller, non particolarmente espressivo ma intenso quanto basta; eccezionale J.K. Simmons: lo Schillinger di OZ, qui se possibile ancor più osso duro, è un festival di stati d’animo, di delusioni e arrabbiature, di entusiasmo e nostalgia. É favorito per la statuetta da Oscar non protagonista: meglio così, da leading actor sarebbe stato troppo scomodo per tutti gli altri.
Per dirigere però un fenomeno del genere, ci vuole pelo sullo stomaco e talento: cose che Chazelle ha dimostrato di possedere in abbondanza. Si parla tanto, tra i baby-prodigio, del 25enne Xavier Dolan: tenete d’occhio anche questo 30enne con la passione per il jazz, ne risentiremo parlare.
[Ph. Credits: Roger Ebert]