Fino ad una decina di anni fa la serialità televisiva era strutturata principalmente con un grande background di personaggi fissi ma che per la maggior parte interagivano tra loro per via delle trame verticali di ogni singolo episodio. Ogni puntata era sostanzialmente una storia a sé che si auto-concludeva. Oggi le serie tv sono nella maggior parte dei casi macro storie che si sviluppano narrativamente nell’arco di mezza stagione (con grande colpo di scena finale prima della pausa invernale) o addirittura di una stagione intera, che tengono costantemente attaccato lo spettatore alle vicende raccontate. Per dirla in modo semplice la struttura appare sempre più simile a quella di una soap opera, con finale di puntata aperto che spinge il fan ad aspettare con ansia il prossimo episodio per sapere cosa accadrà la settimana successiva.

Questo nuovo tipo di struttura seriale, utilizzato precedentemente solo per i teen drama, è stato certamente influente anche nello sviluppo di un fenomeno chiamato “Binge Watching”, ovvero abbuffata di serie tv, quella necessità impellente di vedere tre, quattro, cinque episodi consecutivamente. D’altra parte per le serie meglio costruite ha portato a legare saldamente a sé lo spettatore, che si è fidelizzato, e non abbandona la serie malgrado essa spesso non sia più all’altezza delle sue aspettative. Ciò capita con le serie tv che si prolungano eccessivamente nel tempo; malgrado il successo di pubblico infatti una serie ben fatta non dovrebbe superare le cinque, massimo sei stagioni in casi eccezionali. Una volta oltrepassata quella soglia si tende inevitabilmente alle ripetizioni, all’introduzione di nuovi personaggi scontati, a storie che diventano eccessive e spesso senza senso.

[Photo Credits: Abc]
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Un caso eclatante di questo tipo è divenuto il celebre medical drama della Abc “Grey’s Anatomy”; la serie di Shonda Rhymes infatti, in onda dal 2005 con ben 11 stagioni all’attivo e una dodicesima già in cantiere, è stata tra i più grande successi della rete americana sia in fatto di pubblico che di premi ricevuti. A maggior ragione a fronte delle prime quattro – cinque stagioni eccezionali, il calo negli anni a venire è stato netto e visibile a tutti. La qualità, la logica e la verosimiglianza delle vicende del Grey – Sloan Memorial Hospital sono andate pian piano scemando. A far soffrire maggiormente i fan sono stati però certamente gli abbandoni da parte del cast, numerosi e vistosi, da ultimo probabilmente il protagonista maschile principale, il Dottor Derek Shepherd. Di fronte a questa ennesima morte le lamentele e la disapprovazione degli spettatori verso la sceneggiatrice sono state infinite.

La naturale scelta di fronte a qualcosa che non piace più sarebbe smettere di vederla; quello che invece accade con questo tipo di serie tv è assolutamente incomprensibile. La qualità è diminuita, il cast dimezzato, le storie raccontate fanno soffrire lo spettatore ma il fan non smette di guardare “Grey’ Anatomy”. La reazione davanti alla scomparsa del Dottor Stranamore è stata “addio Grey’s Anatomy, non ti guarderò mai più!” ma la dodicesima stagione è già in progetto e con buona probabilità i fan non se la lasceranno sfuggire, anche solo per scoprire come intende continuare la storia la signora Rhymes.

[Photo Credits: The CW]
[Photo Credits: The CW]

Quello di “Grey’s Anatomy” è solo un esempio ma negli ultimi anni i casi di questo tipo sono molteplici: “Pretty Little Liars” che in questa stagione finalmente rivelerà l’identità di Big -A ma è già stato rinnovato per la settima; “Game Of Thrones”, giunto solo alla quinta ma già con il cast più che dimezzato. “The Vampire Diaries” che proprio nell’ultima stagione ha perso la sua protagonista principale, Elena, anche se questa scelta potrebbe rivelarsi un bene per la serie; altre invece hanno saggiamente scelto, anche se tardi, di dare un taglio alle torture inflitte ai fan come nel caso di “True Blood” e “Glee”. Insomma le serie che “drogano” lo spettatore sono molte e disparate ma una cosa hanno in comune: portano alla dipendenza.

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