Recentemente, sarà capitato un po’ a tutti di trovarsi dinnanzi a un dilemma: la vignetta che ho davanti è troppo pesante per farmi ridere? Il web e i social brulicano di immagini che affrontano tematiche su cui la sempre più disgregata, e al tempo stesso spersonalizzata, opinione pubblica è divisa. Ormai non fa più scandalo scherzare su nulla: l’erotismo, il sessismo, le minoranze, la religione, la malattia e persino la morte. Chi ha il pelo sullo stomaco non si stupisce di vedere che anche l’immagine di Aylan, il piccolo siriano divenuto simbolo della disperazione dell’umanità (non solo del popolo siriano), è divenuta oggetto di umorismo su Facebook.

L’epoca della realtà virtuale ha fatto fuori quel poco che rimaneva della sacralità dell’esistenza e, con essa, ha spazzato via i tabù. Mamma RAI consente a Bruno Vespa di ospitare a Porta a Porta un membro della famiglia Casamonica, figurarsi se ci si formalizza scorrendo l’enorme mole di vignette umoristiche (o wannabe, in alcuni casi) che invadono ogni giorno i social. Gli orrendi avvenimenti di Parigi dello scorso 7 gennaio sono ancora sotto gli occhi di tutti, persino Papa Francesco si era sentito in dovere di dire la propria, esprimendo dei pensieri sottovalutati per la gravità contenuta. In ogni caso, a otto mesi di distanza da quando il mondo si è scoperto Charlie, un ulteriore interrogativo è: quanto è difficile fare satira, satira vera, senza varcare la sottile linea che porta al pubblico dileggio?

Perché, diciamo la verità, la satira, sin dai tempi di Orazio e Lucilio, è scomoda per definizione. Allora, più che sul topic dell’opera umoristica, ci si concentra ormai sulle modalità e sullo stile. Si può scherzare su tutto, il problema semmai è il come farlo. Di questo ne sa certamente qualcosa Alessandro Mereu, musicista heavy-metal ma sopratutto fumettista, che ormai tutta Italia conosce con il nome d’arte di Don Alemanno. Il successo di Don, arrivato nel 2012, si basa su Jenus di Nazareth, serie di strisce umoristiche incentrate su un personaggio-parodia di Cristo: prima il passaparola su Facebook (i social, ancora loro), poi l’approdo alla casa editrice, la prestigiosa Magic Press. Nella cattolicissima Italia, un’opera che dissacra la divinità si prende la scena con entusiasmante facilità.

Come sta, allora, la satira, specie quella a fumetti, in piena era web 4.0? Sentiamo l’opinione di Don.

Ph. Credits: Jenus - Don Alemanno
Ph. Credits: Jenus – Don Alemanno

– Partiamo dal principio di tutto: i social. Su Facebook in particolare. al giorno d’oggi in migliaia ci provano, a disegnare e far ridere, in pochi (come te) ci riescono partendo da lì. Non credi sia una rivoluzione – in senso liberale – per chi ha talento e può farcela da solo senza una sovrastruttura (le case editrici)?

Posso affermare senza ombra di dubbio che se non fossero esistiti i social (in particolare Facebook), voi non mi avreste posto alcuna domanda, perché non avreste avuto la minima idea di chi fosse Don Alemanno. Quindi sì, è sicuramente una rivoluzione, forse tra le più importanti dell’ultimo secolo, visto che è in grado di avere delle ripercussioni (positive o meno) particolarmente immediate nella vita del singolo, oltre che delle masse. Nel mio caso ha addirittura deciso il mio percorso professionale, visto che, non avendo mai desiderato fare il fumettista in vita mia, se non ci fosse stato questo feedback su Facebook non mi sarebbe mai venuto in mente di proporre i miei lavori ad alcuna casa editrice.

– Al tempo stesso, però, non credi che questo possa in qualche modo mortificare il genere? Tolti Jenus e alcuni altri prodotti di qualità, questa democratizzazione del mezzo non potrebbe far abbassare la qualità media (di concept ed esecuzione)? John Carpenter ha detto che i blog dei critici principianti cinematografici hanno rovinato un mestiere. Applicando questo concetto al fumetto, cosa ne pensi?

Difficile rispondere a questa domanda, dal momento in cui io stesso, nella categoria fumetti, sono considerato un cancro da molti addetti ai lavori. Il fenomeno per cui tutti sono speciali, quindi è come se non lo fosse nessuno, credo sia generalmente valido, e a una enorme potenza mediatica è normale che corrisponda la possibilità di farsi conoscere sia per elementi validi, sia per presunte porcherie. Dico presunte, perché bisognerebbe mettersi d’accordo su chi sia a detenere la verità assoluta nel decidere cosa sia geniale e cosa sia una porcheria. Io continuo a pensare che per quanto il singolo possa ritenersi disgustato da una determinata opera, la sua sarà sempre un’opinione senza alcun effetto sulla storia dell’umanità, se alla stragrande maggioranza delle persone quell’opera piace. A parer mio, chi ritiene che il genere fumettistico ne esca mortificato si sta automaticamente ergendo a giudice di qualcosa che, sino a prova contraria, dovrebbe essere considerata una forma di espressione artistica, e che per definizione non può essere assolutamente giusta o assolutamente sbagliata.

Tu hai costruito la tua opera su un dogma, lo hai fatto in maniera dissacrante ma raramente offensiva: secondo te si può continuare a scherzare su tutto o ci si deve porre un limite?

Non so se ci si debba porre un limite. So qual è il limite che mi pongo io, ma non per forza deve essere un modello da seguire: io non riesco ad avere, come oggetto della mia satira, la sofferenza umana.
Attenzione: ciò non significa che all’interno di una gag non possa apparire un elemento riconducibile ad handicap, malattie, o quant’altro. Significa che il focus della satira, ciò di cui direttamente si parla e che si vuole criticare, non può essere la sofferenza umana. La satira, come dice giustamente Gipi, è un’arma del debole contro il potente. Nel momento in cui si usa un processo inverso, non è più satira, ma è qualcos’altro, che avrà qualche altro nome a seconda dei casi. Un esempio: le vignette su Bocelli (le avete viste di sicuro, non mentite) mi fanno sganasciare e non ci posso fare niente. Beh, quella non la definirei satira…

Don Alemanno a Etna Comics 2014, insieme a Paolo Cossi. Sullo sfondo, Leo Ortolani (Ph. Credits: Blog di Cultura)
Don Alemanno a Etna Comics 2014, insieme a Paolo Cossi. Sullo sfondo, Leo Ortolani (Ph. Credits: Blog di Cultura)

– Al tempo stesso, però, ponendosi un limite non credi si possa rischiare che questo limite si sposti sempre più verso di qua e che finiremo per non poter più scherzare su niente?

No, direi che se ci si pone come parametro quello che indicavo nella risposta precedente, non si corre questo rischio. Ma ribadisco: non tutto può essere classificato come satira.

– In Jenus il tuo stile satirico viene spesso contaminato con simboli di cultura pop (un po’ come in Zerocalcare ma con stile evidentemente differente): nel tuo repertorio ci sono chiaramente anche i manga che seguivi da ragazzino. Ma come umorismo, hai attinto da qualche corrente italiana, britannica, americana, o non ravvisi alcuna somiglianza con prodotti antecedenti a Jenus?

Non posso aver attinto da nulla, perché in pratica non ho mai letto fumetti satirici prima di creare Jenus. L’unica opera, ma proprio unica, che ho seguito precedentemente è stata Ratman, dell’amico Leo (Ortolani, ndr).
Quindi, se volete prendervela con qualcuno, prendetevela con lui!

– In conclusione: il più grande pregio e il più grande difetto, secondo te, della satira a fumetti (o in vignette) italiana di questo momento storico.

Il più grande pregio è quello di essere diventata un vettore potente di satira (forse il più potente di tutti) in un momento in cui la tv spadroneggiava nel settore e il fumetto poteva essere considerato un mezzo di nicchia.
Il suo più grande difetto, è che i fumettisti con le palle sono talmente pochi che per ottenere questo risultato alcuni di loro son dovuti morire.

[Credits Cover: Jenus – Don Alemanno]