Solo pochi giorni fa si è scatenata una vera e propria bufera sulla pagina ufficiale di Facebook del regista Gabriele Muccino, il quale ha da poco concluso le riprese del suo nuovo film “Fathers and Daughters” con Russell Crowe e Amanda Seyfried. Il motivo di tanto chiasso un post del regista in cui esterna i suoi dubbi sulla pratica del doppiaggio tanto utilizzata in Italia dopo aver visto il film “Her”.
Muccino giustamente si interroga su quanto un’opera originale perda una volta doppiata in un’altra lingua che sia l’italiano, lo spagnolo o l’iraniano. La recitazione infatti non è solo stare davanti alla cinepresa e mostrarsi in tutta la propria bellezza bensì utilizzare, oltre che la fisicità, tutte le sfumature che le emozioni danno alla voce.
Il regista analizza, da italiano che trascorre molto tempo all’estero, la situazione cinematografica italiana con grande lucidità e con una mentalità che ha ormai troppo poco di nostrano; per questo forse non riesce a farsi comprendere dalla stragrande maggioranza dei suoi interlocutori virtuali, troppo legati alla comodità del doppiaggio ma soprattutto ancorati ad un’idea che il cinema sia solo un passatempo leggero per trascorrere una serata.
Ne si ha avuto la riprova qualche mese fa dopo la vittoria de “La Grande Bellezza” agli Oscar 2014. I commenti sui social network durante la messa in onda del film in prima serata su Canale 5 spiegavano da soli un Paese che considera “cinema” le varie commedie strappalacrime di cui si comprende il finale dopo tre minuti o la nuova comicità alla Checco Zalone & Co.
Continua sottolineando infatti l’incapacità di buona parte degli attori italiani di avere lo stesso pathos dei loro colleghi oltreoceano e questo semplicemente perché in Italia non c’è una Actors Studio. Questo problema, come naturale, si trasmette nel doppiaggio il quale, in ogni caso, per quanto ben fatto porta ad una fruizione dell’opera differente rispetto all’originale.
A queste considerazioni bisogna però aggiungere che c’è un problema di fondo tipico dei Paesi mediterranei ovvero la scarsa dimestichezza con la lingua inglese (soprattutto nel parlato) ma in particolare del contesto culturale a cui fanno riferimento i film. Ciò comporta la necessità di traduttori che, per quanto è loro possibile, contestualizzino quelle battute e quei riferimenti che altrimenti rimarrebbero oscuri al pubblico italiano. A perderne però è certamente l’opera per come era stata pensata che si trasforma inevitabilmente in qualcosa di diverso.
Un problema quello affrontato dal regista Gabriele Muccino che si nota certamente nel cinema ma soprattutto nelle serie tv che arrivano dagli USA le quali da ormai molti anni anni vengono non solo doppiate di fretta e con budget scarsissimi ma anche tagliate e censurate nelle scene.
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