L’esplosione del conflitto nella Striscia di Gaza ha riacceso l’attenzione sugli attriti e le tensioni fra il popolo palestinese, in particolare quello della Striscia, e lo Stato di Israele. Gli effetti sono chiari: emergenza sociale nella Striscia e italiani divisi fra chi è a favore dell’intervento armato israeliano e chi lancia accuse alla strage sionista. Quella di Gaza non è l’unica emergenza grave in giro per il mondo. Le stragi di civili, i bombardamenti, i conflitti a fuoco non sono solo presenti a Gaza ma anche in altre zone del mondo, in particolare in Asia e Africa. Le crisi umanitarie dimenticate dai media sono tantissime. Il caso legato a Gaza ha contribuito, purtroppo, a metterle definitivamente nel dimenticatoio. I mass media hanno colpe gravissime nel trascurare queste emergenze sociali in tutto il mondo quando non sono temi caldi o zone a forte interesse geopolitico.

Le crisi umanitarie sono decine nel mondo ma si concentrano soprattutto fra Africa e Medio Oriente. A scuola sin da bambini abbiamo studiato la Mezzaluna fertile che è quel luogo che parte dalla valle del Nilo e arriva all’attuale Iraq in cui si sono sviluppate le prime civiltà di si abbiano notizie. Proprio in questa zona oggi si concentrano instabilità politiche, guerre civili e crisi umanitarie. Nell’ordine citiamo la crisi politica in Egitto dopo la deposizione del presidente Morsi, la situazione a Gaza e in generale la questione dei ‘Territori occupati’, le tensioni fra Israele e Libano, la guerra civile in Siria, l’emergenza profughi (palestinesi e siriani) in Giordania, l’instabilità in Iraq causata dalla debolezza del governo locale e dall’avanzata dei guerriglieri dell’Isis.
Spostandoci nel Corno d’Africa ritroviamo un’altra zona estremamente critica e caratterizzata in particolare dalla crisi umanitaria in Somalia. Da diversi anni il Paese somalo, uno dei più poveri al mondo, è devastato da una guerra interna accesa dai miliziani di al-Shabab, un’organizzazione terroristica che ha conquistato la parte meridionale della Somalia costringendo decine di migliaia di persone a lasciare il Paese chiedendo asilo nel vicino Kenya.

Negli ultimi tempi al-Shabab si è indebolita tanto che le truppe governative somale hanno riconquistato parte dei territori persi in passato. Nonostante questa regressione i miliziani proseguono le loro offensive contro il governo somalo tanto da aver effettuato due attentati al palazzo presidenziale di Mogadiscio dall’inizio dell’anno. A parte gli scontri fra al-Shabab e le truppe governative non bisogna dimenticare che la Somalia fu il Paese più colpito dalla carestia nel Corno d’Africa del 2011 in cui morirono oltre 250mila persone. A metà luglio l’Onu ha denunciato un nuovo rischio di carestia in Somalia che potreste portare a conseguenze anche più devastanti rispetto al dramma di tre anni fa. Per l’Onu servirebbe 1 miliardo di dollari per far fronte a questa crisi ma a oggi è stata raccolta solo un quarto della somma.

Spostandoci un po’ più a ovest troviamo le zone del Sudan e del Sud Sudan martoriate da un ventennio di guerre che hanno causato oltre due milioni di morti e un numero altrettanto alto, se non superiore, di profughi fuggiti in Kenya e nelle altre nazioni limitrofe. Alla base della guerra civile in Sudan ci sono soprattutto il controllo dei territori dell’Upper Nile ricchi di giacimenti petrolifieri e le disparità di trattamento fra le diverse tribù che compongono la variegata comunità sudanese. Il Sud Sudan, in particolare, è uno stato giovanissimo, nato esattamente tre anni fa ma che è già molto diviso al suo interno tra fazioni opposte che rivendicano il comando del Paese cercando di eliminare il potere dell’attuale presidente Salva Kiir.

Gli scontri armati stanno deteriorando la già compromessa condizione umanitaria della popolazione. Le zone dove ci sono i conflitti a fuoco più frequenti sono l’Upper Nile, il Jonglei e Unity, che sono quelle a maggior interesse economico. Da qui arriva l’ondata più grossa di sfollati che ha superato il milione di civili. A dare una mano a queste persone ci sono alcune organizzazioni umanitarie come, ad esempio INTERSOS, che lavorano all’interno dei campi sfollati per dare prima assistenza, beni di prima necessità, per garantire l’istruzione ai bambini e proteggere donne e bambini a rischio di abusi e violenze. Nonostante il lavoro delle organizzazioni umanitarie per aiutare gli sfollati sudsudanesi, il rischio carestia è molto alto in questo Paese. Tra le cause di un’eventuale carestia ci sono gli scarsi raccolti di quest’anno per via del conflitto interno e delle abbondanti piogge. Le persone a rischio fame in Sud Sudan sono quasi 2,5 milioni, praticamente una persona su cinque. Tra questi, secondo l’Onu e il World Food Programme, ci sarebbero un milione di bambini.