La televisione e in particolare le sette reti generaliste (i tre canali Rai, i tre di Mediaset e La7) sono divenute, negli ultimi dieci anni almeno, un recipiente di pubblicità per tutti i gusti: prodotti per il corpo, nuove tecnologie, banche, aziende telefoniche, prodotti alimentari nonché di programmi televisivi. Riuscire a vedere un film o un episodio di una serie tv per intero, o anche semplicemente spezzato alla fine del primo tempo, è diventato una “mission impossible”.
Ad una analisi dei dati sui break pubblicitari in prima serata, quindi tra le 20.30 e le 22.30 (anche se nessun programma finisce ormai a quest’ora) c’è da impallidire. Durante il mese di ottobre del 2014 Rai Uno ha trasmesso pubblicità per una durata di 5 ore e 28 minuti, Canale 5 per 11 ore e 27 minuti, Rai Due per 3 ore e 26 minuti mentre Rai Tre per 3 ore e 45 minuti. Italia 1 ha mandato in onda spot per 8 ore e 16 minuti mentre Rete 4 ne ha passati per 7 ore e 32 minuti. A chiudere il cerchio c’è La7 che ha mandato in onda spot in prima serata per 10 ore e 21 minuti. Se si volesse quindi stilare una classifica pubblicitaria si ritroverebbe saldamente in testa Canale 5 incalzato al secondo posto inaspettatamente da La7 e solo sul terzo gradino del podio Italia 1. A seguire Rete 4 e in discesa Rai Uno, Rai Tre e Rai Due che passano meno della metà del tempo in spot pubblicitari rispetto a Mediaset.
Numeri che fanno capire la quantità spropositata di pubblicità che viene trasmessa mentre lo spettatore cerca di godersi un film a fine giornata e che comporta quasi sempre un prolungarsi fino a quasi mezzanotte i programmi del prime time. Per molti il rimedio più efficacie è lo zapping: al momento della pubblicità si fa un giro tra gli altri canali aspettando che i fastidiosi due minuti di spot siano terminati. C’è chi invece utilizza il momento pubblicità per il bagno, la tisana o per preparare lo zaino per il giorno dopo. Coloro i quali proprio non riescono più a sopportare la visione con infiniti intermezzi pubblicitari sono passati definitivamente alla pay tv o direttamente alle piattaforme in streaming che trasmettono a un costo relativamente basso moltissimi prodotti. Ma allora quanti effettivamente vengono raggiunti dal messaggio pubblicitario? In un mercato italiano in cui non si comprano più spazi pubblicitari sulle riviste o sui giornali perché non giungono al lettore avendo un pubblico troppo ristretto, arriva invece davvero efficacemente il cosiddetto messaggio pubblicitario al telespettatore ormai assuefatto dalla reclame?
I mezzi per far si che il telespettatore si soffermi sul proprio spot sono infiniti: dal volume eccessivamente alto del momento pubblicità ai grandi attori ingaggiati per conversare con una gallina (una volta Antonio Banderas era un sex symbol oggi fa biscotti) alle scene forse eccessivamente hot per pubblicizzare un reggiseno, un profumo o una collana. Mezzi che probabilmente non sono quelli giusti; basterebbe forse bombardare di meno il proprio pubblico e dare risalto a qualcosa di specifico e che valga la pena pubblicizzare. Il telespettatore, sicuramente, ne rimarrebbe più colpito e non scapperebbe a gambe levate da quella che una volta era la televisione per tutti.
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