Quando si parla di un argomento così diffuso e comune come lo Sharenting mi viene quasi naturale ripensare ad un personaggio mitologico incontrato qualche anno fa sui libri scolastici: Narciso, l’ affascinante e superbo giovane che dopo aver respinto un seguito di pretendenti incitò loro al suicidio scatenando l’ira degli déi: contemplando il suo volto in una fonte, l’ingenuo Narciso infatti, poco prima di morire, restò subito incantato dalla sua immagine riflessa, innamorandosi perdutamente di se stesso.
La morale dovrebbe essere abbastanza intuitiva per tutti, ma se c’è una cosa che oggi potremmo affermare con certezza è che nessuno sembra averla realmente percepita. Sì, perché nonostante questo, di Narcisi il mondo continua ad esserne stracolmo. E se l’obiettivo di uno smartphone potrebbe contribuire al nostro innato narcisismo perché non approfittarne con degli scatti inediti, meglio ancora se il signor Zuckemberg poi ci dà l’opportunità di condividerli in tempo reale con i nostri “amici”.
È oramai risaputo che quella del selfie è diventata una mania patologica di cui oggi tutti (chi più chi meno) ne siamo affetti. E se fino a poco tempo fa i cellulari non erano provvisti di una fotocamera interna, rimediare alla mancanza non fu cosa più semplice e immediata. Inutile dirvi che ciò ha riscontrato più effetti negativi che altro sulle persone interessate: perché se un tempo soffrire di ‘amor proprio’ era una condizione poco diffusa, oggi sembra divenuta una vera e propria malattia, e il tutto a portata di smartphone.
Avete mai sentito dire che internet è il più grande contenitore di informazioni al mondo? Cosa fareste se vi dicessi che provare a rimuovere qualsiasi traccia delle vostre azioni sul web sarebbe fatica sprecata? Lo stesso vale anche per le foto e i video di tutti quei bambini che ogni secondo finiscono nella rete facendo dei giri che neanche immaginate. Per chi non ne fosse al corrente, diffondere decine di immagini dei propri figli sul web significherebbe cedere in maniera assolutamente gratuita le vostre foto a un’azienda come quella che controlla Facebook.
Continuereste a farlo, quindi, anche se ciò comporterebbe dei seri pericoli sull’identità dei vostri figli?
A dirlo sono alcuni studiosi del fenomeno chiamato Sharenting che, secondo una ricerca, hanno messo in evidenza altrettante valide ragioni per cui bisognerebbe evitare la pubblicazione delle proprie foto sui social network, specialmente quelle dei neonati. A cominciare da Facebook, appunto, che è divenuta una vera e propria fonte primaria per pedofili e maniaci assortiti. Inutile perdere le giornate con le impostazioni della privacy: non sarebbe per nulla complesso, infatti, ricavare indirizzi, luoghi, scuole, palestre e, peggio ancora, abitudini della routine quotidiana. Per non parlare del sequestro digitale, una specie di furto per cui alcuni utenti che salvano le immagini dei bambini spacciandoli come propri, o delle conseguenze psicologiche a seguito di ingiusti sbeffeggiamenti circa i presunti difetti fisici messi in evidenza dalla cattiveria della gente (il piccolo Santiago De Martino recentemente è stato oggetto di numerose critiche a seguito di una notorietà imposta dai genitori). E se questo diventa inquietante anche solo immaginarlo, figuriamoci quanto potrebbe esserlo viverlo.
È vero, ci sono anche dei vantaggi (sempre per i genitori, mai per i piccoli, sia chiaro). Li ha per esempio messi in evidenza una recente ricerca del C.S. Mott Childen’s Hospital dell’università del Michigan, che racconta come nel 72% dei casi padri e madri si rivolgano ai social network e anche ai forum per sentirsi meno soli e superare problemi relativi alla quotidianità come salute, alimentazione, comportamento ed educazione. Così come per rimanere in contatto con amici e parenti che non abitino vicini. Ma per quale ragione dovremmo condividere il primo vagito del nostro piccolo con pseudo amici che non vediamo e né sentiamo da anni? Perché non farlo in maniera del tutto privata come potrebbe essere una mail o un messaggio di posta?
Ecco perché Menlo Park ha deciso di intervenire sfornando uno strumento ad hoc per tutti coloro che si approcciano ai social solo ed esclusivamente per rendere partecipi i propri followers su ciò che accade ai propri bambini. Mi riferisco a Scrapbook, niente più che un album fotografico delle foto dei figli condiviso tra i genitori, che funziona grazie a un tag di fantasia per identificare gli infanti e far confluire quel contenuto in una cartella definita per la quale impostare i parametri di riservatezza.
Tuttavia resta ancora un mistero sul perché ci si diverte a spammare le bacheche altrui di piccoli che non hanno spesso neanche coscienza di sé. Forse la smania da like? Credo rimanga l’unica risposta plausibile.
[Fonte Cover Photo: laculturadeipiccoli.blogspot.com ]