La bellezza del mondo è negli occhi di chi lo guarda. E gli occhi di Vivian Maier così acuti da riuscire a cogliere la bellezza anche nei volti dei passanti e negli scorci di una grande città. Con un talento grande, e probabilmente inconsapevole. Perché di professione, Vivian, era una tata, e lo è stata per tutta la vita. Delle sue foto, il mondo, è venuto a conoscenza solo dopo la sua morte, tributandole quella fama a cui in fondo non aveva mai aspirato. Di questa scoperta il merito va John Maloof, storico e collezionista di Chicago che si è imbattuto “per caso” nell’immenso archivio fotografico della donna: oltre 100.000 negativi, filmati in Super-8, registrazioni audio e svariati altri oggetti che costituiscono un’enorme finestra sulla vita americana nella seconda metà del XX secolo. Da questo incontro sono nati un libro, «Vivian Maier: Sel-Portraits», e soprattutto un documentario candidato all’Oscar, «Alla ricerca di Vivian Maier». Una vera e propria indagine su questa misteriosa nanny che ha sconvolto il mondo della fotografia, e che oggi viene celebrata come una dei più importanti street photographer del Novecento, al pari di Diane Arbus e Robert Frank.

Donna armena litiga con poliziotto,  Settembre 1956, New York / Credit Photo: Vivian Maier
Donna armena litiga con poliziotto, Settembre 1956, New York – Credit: Vivian Maier

Nella morte, come in tutta la sua esistenza, Vivian Maier ha lasciato dietro sé pochi indizi su chi fosse realmente e sul perché amasse così tanto la fotografia.“Un mistero avvolto in un enigma”, prendendo in prestito una celebre frase di Churchill sulla Russia. Per scoprirlo non serve partire dal principio, ma dalla fine. Da quando, nel 2007, Maloof si è accidentalmente imbattuto nei suoi negativi. Perché è proprio in quel momento che inizia la storia di Vivian Maier, la fotografa. Prima c’era solo Vivian, la bambinaia che si dilettava a scattare immagini con la sua fedele reflex appesa al collo. Quando si dice il destino. Ed è stato proprio il destino a portare John Maloof sulle tracce della Maier. Cercava materiale inedito per un libro che documentasse l’evoluzione del suo quartiere di Potage Park, Chicago, ma certo non poteva immaginare il valore artistico e storico contenuto in quella scatola di rullini acquistata ad un’asta pubblica per soli 380 dollari.

Credit Photo: John Maloof
Credit: John Maloof

Qualcuno dice che le storie capitano solo a chi le sappia raccontare. «Alla ricerca di Vivian Maier» ne è la dimostrazione. “Ma chi è Vivian Maier?,” si chiede Maloof. Nessuno lo sa. La ricerca del suo nome su Google dà 0 risultati. E così, deciso a fare luce sulla talentuosa ma ignota fotografa, intraprende una ricerca frenetica che da un post su Flickr lo porta fino ad un documentario, realizzato con Charlie Siskel, produttore, tra gli altri, di «Bowling for Columbine», e con i fondi raccolti su Kickstarter. Insieme seguono gli indizi, a partire da un necrologio sul «Chicago Tribune», cercando di ricomporre i pezzi della vita di Vivian, vissuta tra New York, la Francia e Chicago. Setacciano migliaia di negativi e una montagna di altri oggetti che raccoglieva compulsivamente in armadietti, valigie e scatoloni. Intervistano ex datori di lavoro, i bambini che ha cresciuto, vicini di casa e conoscenti.

La sfinge di Giza e la Piramide di Cheope, 1959. Ehitto / Credit Photo: Vivian Maier
La sfinge di Giza e la Piramide di Cheope, 1959. Ehitto – Credit: Vivian Maier

Il ritratto che emerge è quello di una donna eccentrica, colta, molto riservata e non senza un lato oscuro. Uno spirito libero che ha seguito le sue curiosità ovunque queste la portassero, in giro per il mondo. Canada, Sud America, Medio Oriente, Asia. I suoi viaggi in cerca di scorci esotici l’hanno spinta a trovare l’insolito anche al di fuori del suo cortile di casa. E da casa Vivian Maier non usciva mai senza la sua inseparabile Rolleiflex 6×6, sempre pronta a catturare ogni cosa che attirasse la sua attenzione. Si avventurava nei quartieri malfamati della città, accompagnata dai suoi bambini, per fissare la spontaneità di volti e attimi di vita quotidiana della gente di strada.

Maggio 1955 / Credit Photo: Vivian Maier
Maggio 1955 – Credit: Vivian Maier

Aspetta l’istante decisivo come Henri-Cartier Bresson immortalandolo con una precisione unica. Le bastava un unico “click” per fare una radiografia in bianco e nero delle emozioni e dei pensieri di chi – quasi sempre outsider ed emarginati – le capitava sotto l’obiettivo. Ma il suo sguardo, a volte ironico, si è soffermato anche su strade, panorami e scorci urbani delle grandi metropoli americane. E dagli anni ’70, col passaggio al colore, anche su graffiti e oggetti abbandonati per strada. Immagini mai sviluppate e mai stampate. I rullini si accumulano in quelle scatole che come diceva “contengono tutta la mia vita”. La sua vita finisce nel 2009, così come era iniziata, nel silenzio più assoluto.

1980 / Credit Photo: Vivian Maier
1980 – Credit: Vivian Maier

Alla fine di questo viaggio però, alcune domande restano senza risposta: perché Vivian Maier ha nascosto al mondo le sue fotografie? La maggior parte delle persone che l’hanno conosciuta non ha mai realizzato che dietro quella semplice tata dai modi bruschi, si celasse in realtà un’artista dal talento fuori dal comune. E probabilmente, nemmeno lei si è mai considerata come tale. Al punto da preferire l’anonimato alla visibilità, per paura di essere rifiutata. C’è chi sostiene non avesse sufficienti risorse economiche per sviluppare le sue immagini. O forse era semplicemente gelosa della sua privacy. Eppure, di lei ci sono decine di autoscatti. Un sé immortalato come in un gioco di specchi, attraverso ombre e riflessi.

Autoritratto, 1953 / Credit Photo: Vivian Maier
Autoritratto, 1953 – Credit: Vivian Maier

È forte la tentazione di vedere nei suoi autoritratti i progenitori dei moderni selfie. Ma c’è enorme una differenza. Le immagini di oggi non si accontentano di vivere da sole, ma vanno alla ricerca di un consenso condiviso a colpi di like e followers. Scattiamo una foto e la postiamo subito su Instagram, spinti da chissà quale forma di vanità. Vivian Maier invece no. Lei scattava per sé stessa e per il bisogno di farlo. Nessun ego narcisista, nessun curatore da compiacere o pubblico da soddisfare. Solo l’aspirazione ad esistere per sempre attraverso i suoi scatti. Forse per questo la sua arte l’ha solo nascosta, senza distruggerla. Ha custodito le sue memorie perché non andassero perdute, mettendone il destino nelle mani di altri.

[Credit Cover: Vivian Maier]