C’era una volta il Made in Italy.
Un’etichetta, collegata a quella di Terza Italia, per definire un nuovo modo di fare industria, sviluppatosi nello Stivale principalmente nel nord-est negli anni ’60 del ‘900 e contrapposto al modello dell’industria pesante occidentale. Una prassi basata su distretti di piccole-medie industrie, che avevano il fine comune di puntare in primis sulla qualità (e poi successivamente anche sulla quantità). Ecco, se la maiolica e la pelletteria all’italiana sono note a livello mondiale si deve a quella piccola grande rivoluzione. Una rivoluzione che oggi sta strizzando l’occhio ad un contenitore, quello delle serie tv nostrane, che fino ad ora, per quantità e qualità, guarda decisamente dal basso verso l’alto ciò che viene proposto dagli omologhi prodotti Made in USA.

Fatta questa premessa, viene dunque da pensare che Gomorra – La serie, successo senza precedenti nella storia della pay-tv italiana, più che la risposta ai colossi a stelle e strisce, sia da considerare come la prova tangibile dell’esistenza (o resistenza) di quello che una volta veniva classificato come Made in Italy. Perché la qualità della realizzazione e l’organizzazione quasi maniacale che l’ha accompagnata testimoniano la possibilità di impiegare i mezzi a disposizione non solo per il cachet della star di turno o per le scenografie epiche, ma anche per plasmare un prodotto che, dagli interpreti alla creazione di un impeccabile corpo narrativo, mira ad esaltare ogni singolo elemento offerto dal proprio vasto potenziale.

Due anni di preparazione, 1700 provini

Per citare un’altra serie d’autore, Boris, parola d’ordine: qualità. Solo che qui si fa sul serio. Della serie di Gomorra si parla addirittura dal 2011, mentre la preparazione, tra casting che hanno visto oltre 1700 candidati esaminati e un minuzioso lavoro di script con la consulenza di Saviano, si è estesa per oltre un anno e mezzo.
L’intento della produzione (Sky-Cattleya-Fandango) era inoltre quello di mantenere una linea fedele a quella dell’opera di Saviano del 2006, evitando però di proporre storie e situazioni eccessivamente simili a quelle presenti nel lungometraggio di Garrone del 2008. Il risultato è una serie in cui un eccellente livello tecnico incontra tematiche chiaramente connesse agli affari della malavita, ma che non si limitano al mero spaccio o alle faide tra i vari clan. A tal proposito, se l’episodio ispirato alla tragedia di Gelsomina Verde fa gridare all’indignazione, le sequenze che vedono la permanenza di don Pietro a Poggioreale sarebbero già sufficienti per sollevare nuovamente (e con efficacia) la questione delle condizioni delle carceri italiane.
Il Made in Italy si prende le proprie responsabilità. Come Gomorra.

Il legame col territorio

Marco D’Amore, Fortunato Cerlino, Salvatore Esposito, Maria Pia Calzone, Marco Palvetti: alzi la mano chi conosceva questi signori prima dell’avvento di Gomorra – La serie. Eppure si parla di interpreti che hanno affrontato un percorso privo di scorciatoie, rappresentanti di quella che una volta si era soliti definire gavetta. Proprio come quello intrapreso da un’altra lista di nomi, Francesco Montanari, Vinicio Marchioni, Alessandro Roja, lanciati da Romanzo Criminale. Il denominatore comune consiste nella scelta di volti e voci strettamente connessi con il contesto oggetto della rappresentazione. A costo di rischiare di perdere un buon 70% di appeal, la produzione delle due serie ha rinunciato ad adottare l’infausto costume di ingaggiare attori di grido il cui legame coi luoghi teatro dell’azione (Roma o Napoli, in questi casi) si esaurisca ad un lontano prozio. Basta dunque coi Gabriel Garko alla siciliana o gli Elio Germano alla veneta. Ci guadagna il realismo, ci guadagna l’attore ingaggiato (se capace), ci guadagna, manco a dirlo, la qualità.

Il brand della produzione

Naturale che a svettare, nella lista dei realizzatori della serie, sia il nome di Stefano Sollima. Figlio di Sergio, regista che a fine anni ’60 lanciò Tomas Milian e che col Made in Italy ci aveva decisamente a che fare. Un solo lungometraggio all’attivo, il teso e vibrante ACAB (2012), un passato tra Un posto al sole e La squadra, a farsi le ossa. Due serie tv, Romanzo Criminale e appunto Gomorra, che non ammettono diritto di replica e lo hanno consacrato come uno dei cineasti più solidi e affidabili del panorama nostrano. Uno dei pochi, forse l’unico a cui affidare a cuor leggero un copione action.
C’è poi un altro marchio, oltre a quello della veterana Francesca Comencini, ed è quello di Claudio Cupellini, già autore di Lezioni di cioccolato e Una vita tranquilla, qui in veste di regista, in cinque episodi su dodici della stagione.

Tra l’Italia dei Don Matteo e quella dei Furore, Gomorra è il baluardo della Terza Italia: quella del Made in Italy.

[Ph. Credits: Sky.it]