Due anni fa, su questi schermi, abbiamo intervistato alcuni tra i principali protagonisti di Gomorra – La Serie: Salvatore Esposito, Marco D’Amore, Fortunato Cerlino e Marco Palvetti. Da questi incontri, tra l’identikit dei rispettivi personaggi e qualche confidenza su di loro in quanto attori, è emerso un minimo comune denominatore: qualità. Ogni interprete della serie, sin dal primo impatto col grande pubblico (perciò pressoché ignaro degli effetti che Gomorra avrebbe avuto su di esso), ha ostentato una certa sicurezza su cosa il progetto significasse e su quale fosse il peso della sua presenza all’interno del tessuto della serie. Qualità è un termine che, dal cinema alla televisione, siamo abituati – quasi rassegnati – a vedere relazionato in maniera inversamente proporzionale alla quantità. Se le saghe o trilogie cinematografiche che si mantengono su buoni livelli fino alla conclusione si contano sulle dita di una mano, è ancor più agevole applicare questa tendenza alle serie tv, dalle sit-com come The big bang theory ai prodotti più di genere come X-Files.
La grande paura era questa: che la seconda stagione di Gomorra, che ha preso il via lo scorso 10 maggio su Sky Atlantic HD, partisse in maniera promettente, sulla scia del gran finale della prima serie, e proseguisse portando le cose per le lunghe, perdendo pian piano la magia narrativa che l’aveva caratterizzata. È bastata metà stagione a capire che – fortunatamente – ci sbagliavamo. Così come sbagliavamo lo scorso aprile a non dare ascolto a David Benioff e D.B. Weiss, le due penne e le due menti che hanno trasposto per il piccolo schermo lo straripante genio visionario di George R.R. Martin: “Tranquilli, la sesta stagione di Game of Thrones sarà la più sorprendente di tutte“. Come no, pensavamo: sarà fumo negli occhi, deludente come la quinta, la peggiore, non fosse stato per il colpo di coda finale. Manco a dirlo, avevano ragione loro.
A proposito: è possibile accostare Gomorra e Game of Thrones? Probabilmente no: ma quando tra qualche anno torneremo con la mente alla Primavera 2016, ricorderemo che era il tempo in cui il lunedì c’era Game of Thrones e il martedì Gomorra.

Due serie apparentemente agli antipodi: una ci racconta di non morti, resurrezioni, draghi e altre diavolerie, l’altra ci mostra una realtà che è fin troppo reale. C’è però innanzitutto una cosa a tenerle unite: il potenziale virale. Gomorra e Game of Thrones sembrano legate da un filo costituito dalla capacità di entrambi i prodotti di arrivare alla massa. E non come alternativa o in senso disgiuntivo, o guardo l’uno o guardo l’altro. Accorgersene è facilissimo: basta fare un giro sulle fandom italiane – perché ne stiamo parlando a livello nazionale – di entrambi i serial e constatare come si sia venuto a creare un legame, come se ognuna fosse complementare all’altra. Partiamo dall’elemento più banale, superficiale, eppure eloquente in merito al concetto di viralità: i meme. Se prima era un proliferare di vignette e illustrazioni specifiche, ora è all’ordine del giorno trovarne alcune che fanno parlare Sansa Stark come don Pietro Savastano, o altre che chiedono alla sacerdotessa Melisandre di riportare in vita Salvatore Conte. Con le dovute eccezioni, perché l’uno piace così tanto a chi guarda anche l’altro? Similitudini, lo abbiamo accennato, ce ne sono poche: la lotta per il potere, le vicissitudini familiari unite a quelle per la salvaguardia dei clan, si potrebbe persino tentare un accostamento ad personam, come quello tra Ramsay Bolton e Ciro di Marzio, le maschere più odiate. L’analisi ricondurrebbe tuttavia alla solita parola d’ordine: qualità. Qualità della produzione, qualità delle interpretazioni, qualità di scrittura.
Nonostante la forza di cambiare ce l’abbiano tutte e due. E sappiamo quanto sia difficile per due prodotti che hanno offerto sin dall’inizio personaggi facili a cui affezionarsi (sì, ci si affeziona anche ai camorristi di Gomorra, e allora?), far fuori alcuni di loro, per investire su altri. Gomorra, se è lecito un paragone calcistico, sta mostrando la stessa evoluzione della Juventus di Allegri: cambiano gli interpreti, ma il risultato è comunque esaltante. Magari inizialmente incassi le critiche di chi è abituato a vederti in campo in un certo modo, ma se il progetto che hai in mente da oltre un anno lo metti nero su bianco proprio nel modo in cui lo hai concepito, la qualità si percepisce, immacolata, come la si ricordava. Parlavamo di realtà, a proposito di Gomorra: la seconda stagione, che tra le altre cose si incunea sul versante gossip rispetto alla prima, non solo ci evita la sicurezza della linearità, la resa dei conti tra Pietro e Genny Savastano e Ciro Di Marzio, ma sceglie di abbracciare lo stesso approccio divulgativo della matrice, il romanzo di Roberto Saviano. A metà stagione ci siamo resi conto di dove Gomorra stesse andando a parare: mostrare la realtà attuale della Camorra. Internazionale, sì, ma anche uno specchio rotto, in cui covano conflitti e nuovi rapporti di forza: avete mai sentito parlare dei girati di Scampia?

Pochi giorni fa un’operatrice di Sky mi ha contattato per la revoca della disdetta che avevo effettuato: ho accettato. Mi ha proposto un’offerta a mio giudizio conveniente, ma non è stato il lato economico a farmi tornare sui miei passi, piuttosto quello emozionale. Avrei avuto il portafogli meno leggero, sì, ma come avrei combattuto l’astinenza da Gomorra e Game of Thrones? Ecco, l’altra serie che davano per morta. Il più che prevedibile risveglio di Jon Snow aveva fatto gasare molti seguaci, ma anche fatto storcere il naso ad altrettanti, che hanno avuto il sentore di stare guardando una grande produzione telefonata. La vicenda di Hodor, forse il colpo di scena più sconvolgente dai tempi del vero assassino di Laura Palmer in Twin Peaks, ci ha tranquillizzato in tal senso. E ci ha confermato che i brividi li avremo fino alla fine, da una parte e dall’altra. Grazie a uno dei testa a testa più esaltanti che la nostra televisione ricordi, uno di quelli che ti dà il buongiorno col caffè napoletano e il pomeriggio ti porta in un lunapark di Hollywood.