Saranno i tratti affilati e caucasici, sarà l’enorme dose di carisma e centralità che gli fa spesso e volentieri bucare lo schermo. Fatto sta che quando leggi l’anno di nascita – 1988 – di Marco Palvetti, l’interprete del boss Salvatore Conte in Gomorra – La serie, il sussulto è inevitabile. Marco, originario di Pollena Trocchia (NA), ne fa una questione di responsabilità: “D’altronde se noi giovani non iniziamo a responsabilizzarci nel nostro lavoro siamo finiti. Personalmente amo il mio lavoro, anche se non mi piace definirlo tale. Responsabilità, questa è la parola d’ordine. Ecco, partire da questo presupposto secondo me è fondamentale, sotto tutti i punti di vista.”

Formatosi all’Accademia Nazionale d’arte drammatica “Silvio D’Amico” e protagonista sul palco già da giovanissimo, dopo l’exploit ottenuto con la serie-evento basata sull’opera di Roberto Saviano, Marco Palvetti ha rilasciato un’intervista esclusiva a Il Giornale Digitale, in cui ci ha raccontato di come nasce il suo personaggio, del suo approccio professionale e dei suoi obiettivi.

– In pochi giorni l’entusiasmo e l’affetto del pubblico sono stati travolgenti: come stai vivendo la popolarità?

Marco: “La vivo bene perché non fa altro che amplificare la responsabilità che già vivo da attore. Che è quella che dovrebbe sentire qualsiasi attore, riferito ad ogni contesto in cui si muove, sul palcoscenico, in radio o tv. Se l’attore ha a disposizione un canale diffusione, deve parlare, essendo però responsabile di quello che dice. Mentre ero sul set conservavo un approccio teatrale, nel senso che svolgevo il mio lavoro pensando solo a quell’istante, senza pensare alla resa televisiva, consapevole però del fatto che il buon lavoro ripaga. Dobbiamo riprendere le redini del concetto di qualità, perchè il pubblico, che non è stupido, la qualità la merita. Certo, il riscontro si trova sempre più raramente sia al cinema che in tv, finanche in teatro. Non vedo l’ora però di riprendere a trasmettere qualcosa al pubblico, ho ancora fame.”

– Ti sei ispirato a qualche personaggio negativo per costruire quello di don Salvatore Conte?

Marco: “In realtà non mi sono ispirato a nessuno. Ho composto il mio personaggio basandomi su una sceneggiatura di livello eccellente, aiutato da una regia strepitosa. Semmai mi sono ispirato alla realtà, l’attore deve far questo, deve assorbirla in un certo senso la realtà, in tutte le sue forme. L’importante è avere attenzione, elemento che insieme all’ascolto considero imprescindibile nel repertorio di un interprete.”

– Cosa ne pensi di chi dice che prodotti del genere rischiano di creare empatia con quell’universo criminale?

Marco: “Il preconcetto non serve a nulla. Difatti le polemiche avanzate prima della serie sono andate scemando subito dopo i primi episodi. L’unico elemento che rischia di rendere affascinanti i personaggi di Gomorra è il potere. Questo però non è legato a loro, bensì alla natura umana, alla predisposizione di chi guarda. Su di loro è come se gravasse una maledizione: il mio per esempio, Salvatore Conte, è un personaggio che ho amato da attore, in cui ho messo tutto me stesso. Quando l’ho rivisto sullo schermo ho pensato che non vorrei mai essere come lui, il quale conduce un’esistenza gravata da un’inerzia che tende alla morte. Una morte a prescindere.”

– Com’è stato lavorare con Stefano Sollima e Claudio Cupellini?

Marco: “Persone e registi eccezionali. Ho imparato davvero tanto da loro, avvertivo una crescita tangibile dopo ogni ciak. Si è innestato un meccanismo costante di scambio artistico e umano. Spero in futuro di poter essere diretto anche da Francesca Comencini, l’altra regista della serie.”

– La scena – o le scene – che non dimenticherai che ti hanno visto protagonista?

Marco: “Ho la possibilità di poter vivere due volte il mio personaggio: da dentro, quando lo interpreto, e da fuori, quando lo riguardo sullo schermo e colgo anche l’emozione del pubblico. Questa è una cosa bellissima, che mi provoca differenti tipi di emozioni. Come intensità non posso che ricordare l’incendio di casa Conte, girato per forza di cose in one shot. Da spettatore ho poi rivisto l’ultima scena del decimo episodio, una sequenza che mi ha scosso ed emozionato per la sua potenza.”

– Perché in Italia abbiamo così poche produzioni di qualità nonostante i talenti non manchino?

Marco: “Il problema è che la qualità dovrebbe avere la priorità rispetto alla quantità. Oggi invece sembra essere il contrario. Il pubblico sembra assuefarsi alla quantità di prodotti di dubbia qualità che viene propinata. Faccio fatica allo stesso tempo a considerare Gomorra televisione: definisco il progetto cinema seriale. Che poi è lo standard a cui tutti dovrebbero tendere. La qualità non è un’entità astratta, c’è se ci si approccia con intelligenza e attenzione nel lavoro che si fa. Oggi invece regna un ordine perverso, in cui l’immagine, rappresentata ad esempio dalla scelta di un attore di grido, sta davanti alla qualità tangibile. Basterebbe capire in quale verso va la qualità, per sfruttarla in modo da emozionare il pubblico, che in fondo vuole questo. Non è un caso se la gente non vede l’ora di sapere quando uscirà la seconda stagione di Gomorra.”

– C’è un attore della serie con cui hai legato di più sul set?

Marco: “Con Marco D’Amore è stato quasi amore a prima vista. Ho legato molto anche con Domenico Balsamo (Massimo, l’autista di Conte, ndr), che conoscevo già. Sono anche gli interpreti con cui scenicamente ho lavorato di più, visto che don Salvatore non incontra né Gennaro, né don Pietro, né Donna Imma. Ricevere la stima di Marco e Domenico nei miei confronti è una cosa bellissima. Così come essere il più giovane del cast tra gli interpreti principali.”

– Le sequenze con te e Domenico Balsamo, con le occhiate fulminanti di Salvatore Conte al suo autista, sono state particolarmente cariche di pathos…

Marco: “Come a dire ‘te devo capì’ (ride). Beh, erano più per ribadire le caratteristiche del mio personaggio, un grande osservatore della realtà e degli altri. Un personaggio che osserva anche quando dorme (riferito alla sequenza in cui Domenico Balsamo/Massimo tenta di uccidere Conte nel sonno).
Questa non è che la conferma di quello che si diceva prima: come si fa a invidiare un personaggio che non può star tranquillo nemmeno quando dorme? Credo che in Gomorra ci sia un personaggio invisibile ma sempre presente: il destino. Che c’è ovunque, certo, ma in questo caso parliamo di un destino estremamente crudo, governato dalla legge della giungla e dal ‘mors tua vita mea’.”

– I registi o gli interpreti che apprezzi di più?

Marco: “Mi trovo in un momento della vita in cui non mi precludo nulla, mi innamoro continuamente di registi e stili diversi. Ho diversi autori che stimo tanto, così come diversi film. Per dire qualche nome, Johnny Depp, James Dean sono interpreti che mi piacciono moltissimo, così come Steve McQueen (12 anni schiavo, Hunger) e Tim Burton come registi.
Tra gli italiani adoro Sorrentino, mi auguro di collaborare con lui.: trovo Le conseguenze dell’amore qualcosa di eccezionale. Apprezzo molto anche Garrone.
Il mercato d’oltreoceano è però quello a cui ambisco, perché sì. Perché voglio dare qualità a quello che faccio. Gli attori americani hanno qualcosa in più nello sguardo: confrontarmi con loro sarebbe il massimo.
Davvero, non voglio precludermi nulla.”

[Ph credits: Sky Atlantic /M. Alessi]